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Il mondo è piccolo ed è tutto a portata di rete
Biologi, fisici e matematici a confronto in
una conferenza internazionale sulla «teoria delle reti»
La natura e la società funzionano allo stesso modo. Lo sostiene il ricercatore
inglese Mark Buchanan nel libro «Nexus»
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di Luca Tancredi Barone
Fonte: il
Manifesto
6 settembre 2003
Quanto è difficile per ciascuno di noi conoscere di persona
il presidente degli Stati Uniti - ammesso che qualcuno possa essere entusiasta
dalla prospettiva di stringergli la mano? Risposta: non troppo. Ci vorrebbe in
media una catena di circa sei contatti intermedi. E la cosa non vale solo per
l'uomo più potente del mondo (o presunto tale), ma per qualsiasi coppia di
abitanti della terra, indipendentemente da dove vivano, nel cuore dell'Amazzonia
o in uno sperduto paese della campagna cinese. Si chiama small world theory
ed è la spiegazione scientifica del detto «quant'è piccolo il mondo». Il tema è
solo apparentemente frivolo e ci sono ormai centinaia di ricercatori in tutto il
mondo che si occupano della questione che oggi ha un nome: teoria delle reti.
Una branca della scienza molto giovane, nata nel 1998 quando i due matematici
Duncan Watts e Steve Storgatz della Cornell University scoprirono che i punti di
una rete, fosse questa sociale, biologica, o artificiale, si possono collegare
in un modo molto particolare: né ordinato, né completamente casuale e - cosa
ancor più sorprendente - che tutti i sistemi a rete del mondo reale funzionano
nello stesso modo.
Il tema è affrontato nella conferenza Growing networks and graphsin
statistical physics, fnance, biology and social systems che si tiene questa
settimana a Roma e che riunisce i maggiori esperti mondiali del campo. Dietro al
titolo tecnico si intravede la potenza e l'ambizione di un approccio
dichiaratamente interdisciplinare che tenta di unificare la visione di fenomeni
profondamente diversi come il sistema dei neuroni del nostro cervello, le
relazioni personali, i sistemi ferroviari o di distribuzione dell'energia
elettrica, la cellula, la propagazione di un virus (informatico o biologico),
internet, un ecosistema (locale o globale) o il sistema economico mondiale. Un
principio che, come scrive Mark Buchanan in Nexus (Mondadori, pp. 275, €
19) rende l'universo «molto più semplice da interpretare di quanto non
immaginiamo».
Benché oggi siano le scienze cosiddette hard a dominare l'enorme sviluppo
di questa giovane disciplina, uno dei primi spunti in questo campo venne dato
curiosamente da uno psicologo sociale americano di nome Stanley Milgram. Questi
aveva scritto a un campione casuale di residenti del Nebraska e del Kansas
pregandoli di inoltrare una lettera a un suo amico di Boston, ma invece di dare
loro l'indirizzo del destinatario, li aveva invitati a spedire la missiva a un
loro conoscente che avessero ritenuto socialmente più «vicino» all'agente.
Risultato sorprendente: gran parte delle lettere alla fine era arrivata a
destinazione e con un numero piuttosto piccolo di intermediari (circa 6
appunto). Di cui l'espressione «sei gradi di separazione».
«La cosa che abbiamo scoperto è che la maggior parte delle reti mostrava delle
proprietà inaspettate», spiega l'ungherese Albert-László Barabási, professore di
fisica all'università di Notre Dame nell'Indiana (Usa) e uno degli «inventori»
della scienza delle reti, raccontata nel suo libro Linked, uscito nel
2002.
«In sostanza, le reti non sono casuali e quindi non sono omogenee: la maggior
parte dei nodi ha pochi legami con gli altri, mentre ci sono pochi nodi che sono
altamente collegati, chiamati hub».
Questo effetto si chiama anche `effetto Matteo' dal passo dell'evangelista che
dice più o meno che «i ricchi diventeranno più ricchi e i poveri più poveri». Un
nuovo nodo che si collega a una rete tenderà infatti a farlo legandosi più ai
nodi altamente collegati che agli altri. «In sostanza sono gli hub a fare
la differenza - continua Barabási -: nella diffusione dei virus come l'Aids sono
i `nodi' che fanno più sesso a trasmettere di più la malattia che non le madri
con bambini. Paradossalmente, una strategia più efficace del dare la cura solo
alle madri malate sarebbe quella di curare di più le prostitute. Vale lo stesso
per gli amici o per internet: incontrerò più probabilmente quelli con molti
amici o linkerò nella mia homepage più probabilmente le pagine a loro
volta più linkate. Anche nelle conferenze è così: in questo piccola rete di
ricercatori io stesso sono hub: in questa sala ci sono molte altre
persone che avrebbero lo stesso diritto di parlare con i giornalisti di me, ma
sono io quello che lo fa perché in qualche modo sono più famoso».
Il fatto davvero sorprendente è che tutto questo vale non solo per le reti
artificiali ma anche per quelle biologiche o sociali. Non basta: le reti non
hanno un cervello centrale che le governa, come accade per le comunità di
termiti o di api. «Si sviluppano - continua Barabási - per decisione
indipendenti e libere di ciascun nodo: sia essa l'università di Notre Dame che
deve decidere a che router collegare il proprio sistema di internet o il
navigatore che stabilisce liberamente i link da aggiungere alla sua pagina
personale. A questo livello la decisione è `democratica', ma il risultato finale
non lo è perché gli hub sono più importanti degli altri nodi per tenere
insieme la rete».
Alessandro Vespignani, che lavora nel Laboratorio di fisica teorica
dell'università di Parigi sud, si occupa delle interazioni biologiche della rete
di proteine. «Oggi la scienza assiste a un processo inverso rispetto a quello
che l'ha caratterizzata fino ad oggi - spiega -. Finora la tendenza era quella
della specializzazione e del riduzionismo. Ma oggi si è capito che questo
approccio non porta lontano e le discipline si devono rincontrare, il che è
stimolante da un punto di vista culturale. Beninteso: capire come sono fatti i
mattoni è essenziale, ma è arrivato il momento di capire anche l'architettura
con cui costruiamo una casa».
Non è che magari, col tentativo di riportare a uno schema comune tanti e diversi
campi della scienza, rifacciamo entrare dalla finestra il riduzionismo e i
determinismo che gli scienziati hanno cacciato dalla porta? «Non credo - dice
Vespignani -. Questo approccio ci porterà a capire molte cose inimmaginabili, ma
certo non tutto, e anche i risultati a cui arriveremo avranno i loro limiti».
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