Dato che il teorema di Gödel ricorre
spesso in questo NG, ho pensato che possa essere utile cercare di spiegare che
cosa veramente dice questo teorema.
Dato che non sono né un logico né
un matematico, non garantisco di non commettere errori: vuol dire che qualcuno
mi correggerà...
Inoltre dovrò saltare passaggi anche
importanti. Gli esperti mi scuseranno o completeranno il quadro.
La storia comincia nei primi anni del 20-mo secolo, quando sulla scia delle ricerche di Cantor, di Russell, ecc. ferve la discussione circa la possibilità di "provare rigorosamente" qualcosa in matematica, o anche di precisare che cosa sia una dimostrazione. O ancora: di dimostrare che un sistema assiomatico è non contraddittorio.
Hilbert propone questa strada: formalizzare
rigorosamente le dimostrazioni.
La tecnica da seguire è oggi molto
familiare, grazie all'informatica, che però allora era assai di
là da venire. Si tratta in primo luogo di scrivere tutte le
proposizioni matematiche in un linguaggio preciso, del tutto privo di
ambiguità, come "stringhe" di simboli di un certo
alfabeto.
In questo spirito le proposizioni non vanno
viste come dotate di significato (interpretate), ma solo per la loro struttura
sintattica, ossia per le relazioni fra i simboli. Ancora una volta, l'analogia
informatica aiuta: un programma scritto in un linguaggio come BASIC, C, PASCAL
ha per noi un significato; ma il compilatore che deve tradurlo in linguaggio
macchina si occupa in primo luogo della correttezza sintattica (ci sono i
";" al posto giusto? le parentesi aperte sono anche chiuse? le
variabili sono state dichiarate? ecc.).
Una volta ridotte le proposizioni a
stringhe, si debbono introdurre gli "assiomi", che sono soltanto
proposizioni di partenza, che non vogliamo dimostrare. Poi dobbiamo dare le
"regole di deduzione", ossia i procedimenti coi quali è
lecito "dedurre" una proposizione da un'altra. Per esempio: se la
proposizione "a = a"
è un assioma (o se è già stata dimostrata) è
lecito sostituire alla variabile "a" qualsiasi espressione corretta: potrò quindi dare per
dimostrato ad es. "b+c/7=b+c/7". Ci sono (ci vogliono) regole di deduzione più
"furbe" di questa regola di sostituzione, ma non occorre qui
precisare quali potranno essere.
Una successione finita di applicazioni di
regole di deduzione a partire dagli assiomi termina in una proposizione
finale: questa proposizione è un "teorema", e la successione
si chiama la "dimostrazione" del teorema.
Una volta fatto questo (formalizzata una
teoria, che può essere la geometria euclidea, l'aritmetica elementare,
o altro) ci si può porre alcune domande, di cui quelle centrali
sono:
1) la teoria è coerente?
2) la teoria è completa?
Coerente è lo stesso che "non
contraddittoria": vuol dire che non è possibile che siano teoremi
(quindi dimostrabili) una proposizione e la sua negazione.
Completa vuol dire che è possibile
dimostrare tutte le proposizioni "vere". Questa seconda asserzione
va spiegata, perché il termine "vero" appartiene a un diverso
livello di discorso.
Il fatto è che la teoria che abbiamo formalizzata ha di solito un'interpretazione (la geometria parla di rette, angoli...) e in questa interpretazione certe proposizioni potranno essere vere o false, indipendentemente dal fatto che ci sia riuscito di trovarne una dimostrazione. (So bene che qui si sfiora un grosso problema, che ci porta non solo alla semantica, appena si parla d'interpretazione, ma anche alla filosofia. Per es.: ha senso parlare di una verità diversa da quella esprimibile con le dimostrazioni formali? Mi accontento di questa osservazione: chiunque fa matematica ragiona per lo più in modo non formale, ed è convinto della validità delle sue conclusioni. Quindi esiste una verità, almeno nella pratica, che non si riduce a quella formale.)
Le due domande centrali che dicevo sopra
hanno un'altra caratteristica comune: sono domande metamatematiche. Non
mi sto chiedendo se "la somma dei quadrati dei cateti..." ossia se
una certa proposizione matematica è vera; sto chiedendo se vale una
certa proprietà di una teoria matematica. Ossia guardo la matematica
"dal di fuori", "dal di sopra".
L'obbiettivo formalistico di Hilbert si
può riassumere così: formalizzare non solo la matematica, ma
anche la metamatematica, ossia dare dimostrazioni formali delle risposte a
quelle due domande (e ad altre consimili).
E qui arriva Gödel, a rompere le uova
nel paniere...
Non posso che riportare in forma
"divulgativa" il risultato del suo lavoro, che appare nel 1931, col
titolo Über formal unentscheidbare Sätze der "Principia
mathematica" und verwandter Systeme (sulle proposizioni formalmente
indecidibili dei "Principia matematica" e sistemi affini).
Richiamo l'attenzione su due parole:
"formalmente indecidibili"; poi vedremo perché. I
"Principia mathematica" sono un trattato di logica matematica di
Whitehead e Russell: una pietra miliare della ricerca di cui dicevo
all'inizio, ma non abbiamo bisogno di occuparcene.
In sostanza si tratta di questo: con un lavoro faticoso quanto geniale, Gödel riesce a costruire una proposizione del sistema formale dell'aritmetica, che indicherò con G, la cui interpretazione è semplicemente
Notare che l'incompletezza non è un
problema, come non lo è per la geometria. Se alla geometria euclidea
togliete il postulato delle parallele, sappiamo che questo non può
essere dimostrato a partire dagli altri. Abbiamo allora due vie:
a) aggiungere il nuovo postulato (e abbiamo la geometria euclidea)
b)
aggiungere un postulato diverso, che nega quello (e abbiamo la geometria non
euclidea).
Sull'esposizione del teorema di Gödel mi fermo qui.
Solo un commento: molto spesso il teorema di
Gödel viene citato a sproposito, dimenticando la parola chiave del
titolo. Ricordate? "formalmente indecidibili". Tutto ruota attorno a
quel formalmente, che ora sappiamo che
cosa significa.
Gödel ci ha dimostrato che esistono
proposizioni formalmente indecidibili (e non solo nell'aritmetica, ma in tutti
i sistemi formali utili alla matematica). Ma non ci ha vietato di dare
dimostrazioni non formali, come facciamo
sempre.
Il prezzo che si paga è che non possiamo
essere certi del rigore che garantisce una dimostrazione formale. O in altre
parole: in una dimostrazione non formale probabilmente usiamo delle regole di
deduzione più ricche di quelle che sappiamo formalizzare.
Perciò non è giusto dire che
la congettura di Goldbach (o altre proposizioni: era stato supposto anche del
teorema di Fermat, ora dimostrato) possa essere indecidibile, rifacendosi al
teorema di Gödel. Di fatto per la quasi totalità dei teoremi della
matematica che conosciamo nessuno ha mai neppure provato a scrivere
dimostrazioni formali, per cui la possibile inesistenza di tali dimostrazioni
non cambia niente. E infatti dopo Gödel i matematici non hanno cambiato
mestiere, hanno continuato a riscuotere lo stipendio (Gödel incluso)
ecc.
Né la difficoltà di trovare una
dimostrazione (o la dimostrazione della negazione) di una congettura dice
niente circa la sua indecidibilità formale; e di indecidibilità
"non formale" non ha neppure senso parlare.
Sto dicendo che il teorema di Gödel
è inutile? Niente affatto.
In primo luogo, ha chiarito lo status logico
delle teorie e delle dimostrazioni matematiche: quello che si può e
quello che non si può pretendere/raggiungere.
In secondo luogo - questo è il punto di
vista malizioso di un fisico, lo ammetto ;-) - dovrebbe aver insegnato ai
matematici un po' di modestia: non possono più guardare dall'alto in
basso gli altri scienziati, ritenendosi i soli e veri depositari di un rigore
inattaccabile.
Rifiuto invece le interpretazioni (care a certi
filosofi) circa la pretesa prova dei limiti della ragione umana,
inconoscibilità della verità, e palle consimili. Queste
interpretazioni sono semplicemente forzature, derivanti da un'accoppiata di
ignoranza e malafede: ignoranza, perché nessuno di quelli che parlano
cosí ha mai provato a capire il teorema di Gödel sul serio (e non
ne sarebbero capaci!); malafede, perché cercano solo di volgere a
vantaggio di una propria tesi (sempre antiscientifica) qualcosa che ha un
altro significato.