La nostra storia comincia un secolo fa, con la scoperta dell'elettrone, del quale, negli anni successivi, sarebbero state determinate le caratteristiche, ossia carica e massa. Per molto tempo l'elettrone sarebbe stato considerato l'atomo di elettricità negativa (restava il problema dell'elettricità positiva, ma lasciamo correre).
Va ricordato un antefatto: alla fine del
secolo scorso erano già consolidate le leggi dell'elettromagnetismo,
riassunte nelle famose equazioni di Maxwell. Queste esprimevano in termini
precisi tutte le proprietà dei campi elettromagnetici e le
modalità della loro generazione da parte di cariche elettriche, ferme o
in moto. In particolare, avevano portato alla previsione e alla scoperta delle
onde e.m.
Era anche stabilito che le onde e.m. nascevano
quando e solo quando una carica si muoveva di moto non uniforme: per esempio
oscillando avanti e indietro in un conduttore, o ruotando in un'orbita
circolare.
Si sapeva anche che una carica subiva forze da
parte dei campi elettrici e magnetici, espresse dalla formula di Lorentz:
F=q(E+v×B).
Su queste basi nasceva la teoria elettronica
della materia, che si proponeva di spiegare le proprietà elettriche e
magnetiche di solidi, liquidi, gas a partire dalle leggi note dell'interazione
fra i campi e gli elettroni contenuti negli atomi.
Per questa via avrebbe dovuto essere spiegata
tra l'altro la proprietà di certe forme della materia (specialmente
gas) di emettere o assorbire radiazione e.m. solo per certe lunghezze d'onda
caratteristiche: le cosiddette "righe spettrali".
Tale programma avrebbe avuto parziali successi,
ma avrebbe anche incontrato impreviste difficoltà.
Tralasciando questi aspetti, c'era prima di
tutto il problema della struttura dell'elettrone: aveva delle dimensioni o
doveva essere pensato puntiforme? Nel primo caso, lo si doveva pensare come
una pallina dotata di carica? e questa carica che cosa era? esistevano dei
microelettroni?
Il caso contrario (elettrone puntiforme, senza
struttura) era filosoficamente più semplice, ma incontrava una
difficoltà insormontabile: il campo elettrico prodotto da una carica
puntiforme ha un'energia infinita.
Sarebbe stato questo solo il primo esempio degli
"infiniti" che avrebbero perseguitato l'elettrodinamica fino ad
oggi.
Altro problema era la cosiddetta
"reazione di radiazione": abbiamo visto che una carica accelerata
emette onde e.m., e queste trasportano energia, che deve essere spesa dalla
carica. Dunque questa verrà frenata, e ciò richiede che sia
soggetta a una forza frenante, che è appunto la reazione di radiazione.
Era però incomprensibile come una carica potesse reagire su se stessa:
il campo elettrico di una carica può attrarne o respingerne un'altra,
ma non agisce su quella che genera il campo!
Per di più i tentativi di calcolare tale
reazione, trattando un elettrone come una pallina con carica distribuita,
portavano a stranissime proprietà (che ora non è il caso di
accennare) e questo rimase per molto un rompicapo insolubile.
Saltiamo ora di circa 30 anni.
Nel frattempo era nata la relatività, si
erano scoperti i fotoni, era nata la meccanica quantistica: prima nella forma
primitiva di Bohr-Sommerfeld, poi in quella più sofisticata di
Heisenberg-Schrödinger.
Visto che le leggi della meccanica classica
erano state rivoluzionate, nacque la speranza che tale rivoluzione avrebbe
anche risolto i problemi dell'elettrodinamica.
Ma occorre dire prima che la struttura
quantistica degli atomi era subito stata messa in rapporto con
l'elettrodinamica classica, perché occorreva spiegare come facessero
gli atomi a emettere o ad assorbire radiazione. Ciò poteva essere fatto
con la cosiddetta "teoria semiclassica", in cui il campo e.m.
rimaneva quale l'aveva visto Maxwell, ma gli elettroni dell'atomo quantistico
venivano perturbati dalla presenza di un campo esterno (per es. un'onda e.m.).
Questa forma della teoria rendeva conto delle righe spettrali, anche in
dettagli molto sottili, come le intensità delle diverse righe, il
perché certe transizioni fra livelli atomici fossero possibili e altre
proibite, ecc. Aveva però un grave difetto: ignorava del tutto il
carattere quantistico della radiazione e.m., ossia i fotoni.
Un altro aspetto dello stesso problema è
che nella teoria semiclassica non esiste la cosiddetta "emissione
spontanea". Proprio quella che nella fisica classica risultava in modo
naturale, come dovuta al moto accelerato di una carica.
L'emissione spontanea significa questo, in
termini quantistici: se noi portiamo un atomo a un livello di energia
più alto del fondamentale, quello non resta lì in eterno: prima
o poi emette un fotone e torna allo stato di energia più bassa.
Nella teoria semiclassica ciò non
avviene, perché se l'atomo è in uno stato eccitato, ma si trova
nel "vuoto", ossia non ci sono campi e.m. prodotti da altre
sorgenti, quello stato è "stazionario" e si conserva
indefinitamente. Infatti non c'è niente con cui l'atomo possa
interagire, e preso a sé la sua energia si conserva.
Si capiva che occorreva introdurre in qualche modo le proprietà quantistiche della radiazione e.m., ossia i fotoni; e si sperava che fatto questo tutto sarebbe andato a posto. Le cose andarono in parte così, ma spuntarono fuori altre difficoltà...
(Fine della prima puntata)