Ogni tanto mi capita di leggere, per dovere
d'ufficio, libri che altrimenti non leggerei. Il "dovere d'ufficio"
consiste nel fatto che essendo impegnato, anche con questa rubrica, in un
lavoro di diffusione e critica d'idee scientifiche, debbo tenermi informato su
ciò che pensano e scrivono autori magari famosi ma che sento molto
distanti, per una ragione o per l'altra.
Chi legge questa rubrica sa poi della mia
attenzione alla figura di Galileo: forse non c'è puntata dove non mi
sia capitato di citarlo; e forse qualcuno avrà anche pensato che
esagero... Fate due più due, e siete arrivati: se esce un libro
dedicato a Galileo come posso non leggerlo? Avrete sicuramente capito che sto
parlando dell'ultima fatica di A. Zichichi: Galilei, divin uomo (Il Saggiatore, 2001).
Avete letto bene: "Galilei", non
"Galileo". Infatti l'Autore ci avverte fin dalla pagina di risguardo
che a lui non piace che G. venga chiamato per nome (forse gli sembra
un'irriverenza?). Non importa che tutti dicano Michelangelo, Leonardo,
Raffaello, Tiziano ... e che questo sia più un omaggio a una fama
mondiale e imperitura, che un segno di confidenza: per lui G. va chiamato per
cognome. Perciò lo stesso faremo con lui: non ci permetteremo di
chiamarlo Antonino, ma sempre e solo Zichichi...
Tutti sappiamo che Zichichi è un
personaggio noto e controverso; sarebbe perciò facile e quasi naturale
spostare il discorso dal libro alla persona dell'autore. La mia intenzione
però non è questa: nei limiti del possibile qui intendo parlare
solo del libro, e dell'autore solo per quanto traspare dal libro o è
necessario per illustrare il libro.
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I pensatori dell'Era pre-galileiana avevano cercato invano le verità fondamentali senza riuscire a trovarne nemmeno una. Nel corso dei secoli e dei millenni poco era cambiato nella visione del mondo (vedi pagina accanto). Galilei è il più grande pensatore di tutti i tempi e di tutte le civiltà in quanto è riuscito a tagliare il traguardo. A questo traguardo, senza precedenti nella storia del pensiero, Galileo Galilei arriva, non per atto di Ragione e basta, bensì per atto di Fede nel Creatore che lascia le Sue impronte nella materia "volgare". (pag. 153).
Una breve spiegazione e un commento. La
parentesi "vedi pagina accanto" si riferisce a una
particolarità del libro: le pagine pari sono riservate a figure,
fotografie, citazioni, a succinte esposizioni dell'autore su particolari
argomenti; il testo invece si sviluppa solo nelle pagine dispari.
Commento. Già da questo primo esempio si
vede un'altra peculiarità del libro: è costruito in modo
retorico (nel senso letterale del termine). Mira assai più a convincere
che ad argomentare; rarissimi i ragionamenti, moltissime le asserzioni
apodittiche, come pure le iperboli. Ne abbiamo un paio di esempi nel brano
appena citato: "G. il più grande pensatore di tutti i tempi e di
tutte le civiltà" e poi "I pensatori dell'Era pre-galileiana
avevano cercato invano le verità fondamentali senza riuscire a trovarne
nemmeno una". Entrambe le asserzioni non reggono al più semplice
esame critico, ma questo a Z. non importa: il suo pubblico, quello per cui lui
scrive, e che ritengo conosca assai bene, non è raffinato né
particolarmente colto, ed è più propenso a fare atto di fede
nell'autore, che conosce come uno dei più grandi scienziati viventi (su
questo torneremo).
Avete presente quel noto uomo politico che
spiegando ai suoi come si debba fare propaganda elettorale ha detto di non
dimenticare mai che si trovano davanti persone col livello intellettuale medio
di un bambino di 12 anni, neppure tanto sveglio? Ecco: leggendo il libro di Z.
sono portato a pensare che anche lui la veda allo stesso modo riguardo ai suoi
lettori...
Un'altra cosa che vien fatta di pensare
sfogliando questo Galilei è che Z.
potrà avere molte virtù, ma non certo la modestia. Il libro
è corredato di numerose fotografie (purtroppo di qualità
scadente, perché stampate a retino): ne ho contate 42 di persone,
più altre di apparati sperimentali e varie. Bene: in 25 appare
l'Autore, solo o meglio in compagnia di personaggi famosi: da Giovanni Paolo
II a diversi premi Nobel. Inoltre in aggiunta al consueto risvolto di
copertina, dove è d'uso che un autore presenti alcuni cenni
autobiografici, qui magari un po' troppo encomiastici, c'è la pag. 565
(la penultima del libro) che è intitolata "Antonino Zichichi"
e riporta tutte le sue benemerenze scientifiche. Non posso certo copiarla per
intero, ma ve la riassumo:
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La Scienza, abbiamo visto nel §3.8, deve poco a Copernico. Poco. Forse nulla. Aristarco, essendo riuscito a stabilire con precise misure astronomiche che il Sole era molto più grande della Terra, disse che era assurdo ritenere la Terra ferma e il Sole che le girava attorno. L'eliocentrismo nasce con Aristarco. Se dopo cent'anni da Copernico non fosse nato Galilei, il suo eliocentrismo avrebbe fatto la stessa fine di quello - identico - di Aristarco". (pag. 445).
Sorvoliamo sul fatto che le "precise
misure" di Aristarco non erano poi così precise, né
potevano esserlo, a quei tempi, e lo portarono a sottostimare gravemente la
distanza Terra-Sole (il che non toglie niente alla grandezza di Aristarco, se
consideriamo il tempo in cui operava). Ma non si può liquidare
così brutalmente il pluridecennale lavoro di Copernico, che implica ben
altro che un'occasionale osservazione. Non posso dilungarmi, e mi limito a due
soli esempi.
In primo luogo, Copernico correttamente
osserva che se si assume che i pianeti esterni girino attorno al Sole a
distanza maggiore della Terra, allora si spiega subito perché essi
abbiano la massima luminosità quando sono all'opposizione, in quanto in
quel momento sono più vicini alla Terra; fatto questo che nello schema
tolemaico non ha invece niente di necessario. Secondo: Copernico dà una
semplice spiegazione della precessione come moto dell'asse terrestre, al posto
di un'artificiosa combinazione di epicicli, necessaria nello schema tolemaico.
Tutto questo per Z. non esiste; o più probabilmente, lo ignora.
È ben vero che il moto della Terra
andava incontro a obiezioni dinamiche, e che proprio a queste s'indirizza G.
nei Massimi Sistemi; ma è
altrettanto evidente - checché ne pensi Z. - che non avremmo avuto G.
senza Copernico. Del resto, qualunque scienziato degno di questo nome ha
sempre riconosciuto il suo debito verso chi l'ha preceduto, senza sentirsi
diminuito per questo. Conosciamo la frase attribuita a Newton: "se ho
visto più lontano di altri, è perché stavo sulle spalle
di giganti". Se Z. sembra pensarla diversamente (e ne vedremo altri
esempi) me ne dispiace per lui, e soprattutto per chi gli dà retta.
E Keplero? Z. dedica molto spazio a criticare
(giustamente) il suo sogno dei poliedri regolari inseriti tra le sfere dei
pianeti, e poi liquida la sua vera scoperta in poche parole: "Restano le
sue tre 'leggi,' che sarebbe più corretto chiamare
'regolarità'". (pag. 447). E così Z. cancella il valore
storico rivoluzionario del lavoro di Keplero: l'essersi basato sulle accurate
osservazioni di Tycho, l'aver avuto il coraggio di abbandonare i moti
circolari in favore di ellissi. È ben vero che G. non prese mai sul
serio Keplero (e aveva torto) ma lo stesso non si può dire di Newton,
che si pose come compito fondamentale appunto quello di spiegare le
"regolarità" di Keplero, riconducendole a una teoria
generale.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma lo
spazio è tiranno... Non potrò certo fare a meno di descrivere la
valutazione che Z. dà di Einstein; ma ne parleremo più avanti.
Voglio invece concludere questo richiamo a Z. "storico della fisica"
con un cenno ad alcune incredibili trasandatezze, che pure si trovano nel
libro. Ne cito soltanto una. A pag. 44 c'è una fotografia della famosa
"lampada di Galileo". In proposito Z. ci racconta che essa fu
eseguita nel 1587, e poi aggiunge: "Venne chiamata così in quanto
Galilei, mentre da ragazzo serviva Messa, osservò le oscillazioni di
quel lampadario, ne intuì l'isocronismo e realizzò poi il suo
primo strumento, il pendolo (§5.3) per studiare la Logica del
Creato". C'è solo un problema: Galileo nel 1587 aveva 23 anni, e
come ci dice lo stesso Z. poche pagine dopo, in quell'anno tentò di
ottenere una cattedra di matematica a Bologna. Al tempo stesso "serviva
Messa" a Pisa? Lo strano è che tutti sanno che quella della
lampada è una leggenda; ma Z. la propina ugualmente al suo lettore
dodicenne...
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Abbiamo già detto che il Dialogo è il primo esempio di Scienza galileiana di secondo livello. La fama di Galilei è erroneamente legata a quest'opera in quanto - come detto prima - la cultura dominante atea aveva trovato in essa il fulcro di tutta l'azione contro la Chiesa. E abbiamo anche detto che Galilei, nel rinunciare a ciò che aveva scritto nel Dialogo sull'eliocentrismo, sapeva che qui c'era in gioco il secondo livello di credibilità scientifica, non il primo. (pag. 165).
Incontriamo qui un personaggio che ricorre
in tutto il libro: la "cultura dominante atea", il Male al quale Z.
addossa tutte le colpe... Ne riparleremo.
Ma è singolare la tesi: insomma G. non
ha poi sofferto molto a dover abiurare, perché in fondo si trattava di
"scienza di secondo livello". Qui ritroviamo il Z. storico, ma
stavolta al servizio della sua tesi centrale. Anche su questo dovremo tornare;
per ora mi limito a dissentire solo per un aspetto: che il Dialogo sia davvero scienza di secondo livello, per seguire
la distinzione zichichiana. Si vede che Z. non ne ha mai letto la prima
giornata, dove per es. si discute sulla natura fisica della Luna, confrontando
ciò che vi si vede con quello che possiamo vedere in adatti esperimenti
terrestri. G. vuol dimostrare che la Luna è fatta di roccia (e
piuttosto scura) anziché di cristallo trasparente come sosteneva la
scienza tradizionale; nel discutere di questo fonda i metodi e i criteri della
fisica sperimentale.
Z. direbbe: va bene, ma siccome la Luna non
era accessibile a G., la sua era scienza di secondo livello. Mi permetto di
non essere d'accordo. La Luna era accessibile in linea di
principio, e G. ci dice che cosa si
troverebbe se ci si potesse andare. Ricordate? Ne ho parlato cinque anni fa:
L'evoluzione del Cosmo è basata su equazioni e si fonda su verità scientifiche del primo livello. Nella descrizione matematica dell'evoluzione cosmica intervengono le Tre Colonne e le Tre Forze. È grazie a questo rigore che sono stati scoperti i problemi non risolti del Big Bang. Ed è così che è stato possibile mettere in crisi questa teoria. Oggi pochi di noi credono che sia nel Big Bang l'origine dello Spazio e del Tempo. (pag. 167).
Se non avete capito, non è colpa
della brevità della citazione: anche se leggete tutto il libro non
capirete di più. A parte l'abbondanza delle maiuscole (Z. ha la
maiuscola facile ...) è difficile estrarre un succo. Posso accennare
che le "Tre Colonne e le Tre Forze" sono la versione zichichiana di
quello che di solito viene chiamato il "modello standard". Posso far
notare che non si parla, né qui, né prima, né dopo, del
ruolo che hanno in cosmologia le osservazioni. Posso rilevare l'insinuazione
(non so come altro chiamarla) sulla "crisi del Big Bang".
Personalmente non sono un appassionato
sostenitore del Big Bang, come del resto di nessuna teoria fisica (le teorie
hanno bisogno di critiche e di verifiche, non di credenti o detrattori) ma non
mi piace questo metodo di lanciare il sasso e nascondere la mano. Non si sa in
che cosa consisterebbe la crisi; si afferma che "pochi di noi
credono" (è proprio sicuro? come fa a dirlo?)... Solo una cosa si
capisce, diciamolo francamente: quello che qui Z. lascia intendere senza dirlo
è che alla cosmologia manca la Creazione (maiuscola d'obbligo).
Ricordiamoci: il lettore tipo ha 12 anni. Non
gli possiamo mica spiegare quali siano i problemi della cosmologia, e magari
anche i suoi successi, le idee su cui si fonda... Occorre e basta che
un'Autorità (autonominata) gli dica quello che deve credere: che la
cosmologia è di terzo livello, quindi inferiore al già inferiore
secondo livello; che ha bisogno del primo livello (il che è vero, ma in
modo alquanto più complesso di come viene qui rappresentato); che la
sua ipotesi fondamentale è in crisi.
Invece, delle Tre Colonne e delle Tre Forze
nessuno dubita né può dubitare: quando parla di questo, Z.
mostra una certezza incrollabile. Lì abbiamo raggiunto la
Verità.
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L'Evoluzionismo Biologico della Specie Umana (EBSU) è la
struttura portante della cultura atea che, apparentemente preoccupata di
ciò che potrebbe essere dannoso per la cultura cattolica, raccomanda
alla Chiesa di fare attenzione a non ripetere lo stesso errore commesso contro
Galileo Galilei e il suo modello copernicano. C'è qualcosa di vero in
questa apparente preoccupazione? La risposta è no. (pag. 221).
Per essere allo stesso livello dell'evoluzione cosmica, l'evoluzione
biologica della specie umana dovrebbe essere basata su equazioni e queste
dovrebbero riferirsi a verità scientifiche del primo livello [...]
Nulla di tutto ciò accade con l'EBSU.
(pag. 223).
Quanti milioni di anni [...] avremmo
dovuto aspettare affinché, per
evoluzione biologica, il nostro udito potesse essere in grado di ascoltare
ciò che qualcuno dice a distanze enormi da noi, come facciamo grazie
alla radio? [...]
Queste grandi conquiste hanno una radice comune: l'Evoluzione Culturale
della Specie Umana e questa nasce esclusivamente in virtù della
Ragione. (pag. 225).
Siamo l'unica forma di materia vivente dotata di Ragione. Per noi credenti
la Ragione è dono di Dio e non ci sono problemi di contraddizione
logica. Per la cultura atea la Ragione è invece il risultato
dell'evoluzione biologica della specie umana.
L'EBSU ha quindi come problema di fondo spiegare l'ECSU. Ma ECSU vuol dire
Ragione. La cultura atea dovrebbe scrivere l'equazione dell'EBSU in grado di
ottenere come risultato finale la Ragione.
(pag. 227).
Gli studiosi dell'Evoluzionismo Biologico della Specie Umana - nonostante
i due secoli di ricerche - non sono riusciti a realizzare esperimenti come
quelli che tratteremo nel §11.4.4 né a toccare traguardi come lo
sono le equazioni di Maxwell e l'equazione di Dirac [...]. Queste equazioni - lo abbiamo detto prima - ci fanno
capire l'origine dei nostri cinque sensi. Eppure i fanatici dell'EBSU
pretendono di aver capito un fenomeno che non riesce ancora a essere
formulabile in termini di rigore logico-matematico in modo da essere inserito
al livello pur minimo (terzo) di credibilità scientifica. Nonostante
questa grave lacuna essi lo estendono alla specie umana e dicono di avere
raggiunto le frontiere della Scienza galileiana. Queste conclusioni sono
contro tutto ciò che la Scienza galileiana ci ha permesso di scoprire e
di capire. (pag. 235).
La teoria dell'evoluzione biologica della specie umana pretende di andare
molto al di là dei fatti accertati.
Questi ci dicono che:
[...]
Questa catena ha però tanti anelli mancanti e ha avuto bisogno di
ricorrere a uno sviluppo miracoloso del cervello, verificatosi circa due
milioni di anni fa.
[...]
Una catena con anelli mancanti, sviluppi miracolosi, inspiegabili
estinzioni, improvvise scomparse non è Scienza galileiana. Essa
può, al massimo, essere un tentativo interessante per stabilire una
correlazione temporale diretta tra osservazioni di fatti ovviamente non
riproducibii, obiettivamente frammentari e necessariamente bisognosi di
ulteriori repliche. (pag. 220).
Credo di poter ridurre al minimo i
commenti, perché in quello che scrive Z. non vedo niente di nuovo. Ho
già discusso il criterio dei "tre livelli" nell'applicazione
all'astrofisica e alla cosmologia, ma ora vedete a che cosa serviva realmente:
a negare qualsiasi validità scientifica a quella che Z. chiama, con
termine tutto suo, EBSU. È chiaro che alcuni degli argomenti che porta
corrispondono a problemi reali, che del resto la ricerca non ignora affatto e
discute da sempre: ma a Z. fa comodo, qui come in altri casi, presentare una
caricatura dell'avversario di turno, al fine di poterlo combattere più
efficacemente. Più efficacemente, s'intende, solo dinanzi al suo
pubblico... Perciò dipinge biologi e paleontologi come stupidi
"fanatici", che ignorerebbero le difficoltà del loro lavoro,
in quanto adepti della "cultura atea dominante". (Qui mi sorge una
domanda: non verrà in mente a un lettore di Z. che forse ci sono anche
biologi credenti, che vengono offesi dalla sua demonizzazione?)
Un'impostazione così gretta di problemi
seri mi produce prima di tutto un senso di fastidio. Ci leggo il tentativo di
rendere impossibile ogni discussione: o sei con me, o sei contro di me. Mi
spiego meglio: è chiaro che come fisico, e senza arrivare alle
esagerazioni ridicole di chiedere ai biologi quali siano le loro equazioni,
sento una certa insoddisfazione per una ricerca che a volte mi sembra
avvitarsi in controversie verbali. Al tempo stesso mi rendo conto che gli
oggetti di quella ricerca sono ben altra cosa degli spaghi e i sassi di cui
tanto parla Z., ma anche degli atomi o delle particelle; e non c'è
perciò da stupirsi se i metodi sono diversi, i concetti costruiti
diversamente; se gli stessi criteri di validità non possono essere
ridotti a un rigido schema "galileiano".
Io non intendo rinunciare a esercitare il mio
spirito critico in ogni direzione; invece
mi pare che chi la pensa come Z. abbia già deciso da che parte sta la
Ragione e da quale sta il Torto (maiuscole per adeguarmi allo stile ...).
C'è poi un altro aspetto che non
approvo. La caricatura che Z. fa non è innocente e fine a se stessa:
è invece strumentale a una tesi. Il libro è pieno di
dichiarazioni di fede religiosa, e questo sarebbe un fatto privato, che
ciascuno vive a suo modo: c'è chi lo tiene come suo patrimonio
personale, senza esibirlo, e chi invece sente bisogno di farne una bandiera.
Z. appartiene evidentemente alla seconda categoria, ma fin qui non ci sarebbe
niente da obiettare. Trovo invece molto da obiettare quando questa fede
"estroversa" viene accompagnata e sostenuta da "argomenti"
come quelli che si trovano in questo libro, e dei quali la critica all'EBSU
è solo un esempio; quando cioè la verità scientifica
viene presentata in modo distorto a un pubblico intellettualmente disarmato,
per farne sostegno delle proprie idee.
Siamo così arrivati al cuore del
problema. Ho scritto all'inizio che abbiamo davanti un libro a tesi, e siamo
tornati allo stesso punto. Bisognerebbe quindi discutere se la tesi (G. vero
solo unico fondatore della scienza in quanto credente) sia fondata. Ma per questo occorrerebbe un altro
libro, non questo commento che sta già diventando fin troppo lungo.
Tuttavia le critiche che ho fatto danno già una parziale risposta: se
è vero, come io ritengo, che la storia delle ricerche di G. viene
presentata in modo alterato; che le argomentazioni epistemologiche non reggono
a un esame critico; che le citazioni sono adattate da Z. ai propri fini; che
anche l'opera di altri grandi scienziati è deformata sempre in modo da
servire le sue tesi... Se tutto questo è vero, la conclusione è
obbligata, e non ho neppure bisogno di enunciarla.
Per questa volta fermiamoci qui; ma non ho
finito quello che ho da dire su questo Galilei, e dovrò chiedervi la pazienza di seguirmi per un'altra
puntata; dove capiremo perché Einstein non è uno scienziato
galileiano, impareremo come si è formato il sistema solare, faremo
conoscenza da vicino con la cultura atea ... e altre cose ancora.
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