Eccoci di nuovo qua, per concludere questa
lettura del libro di Zichichi: Galilei divin uomo. Per brevità rinuncio al "riassunto della puntata
precedente" ed entro subito in argomento, esaminando gli esempi che Z. fa
di scienziati "non galileiani".
In verità, per Z.
"scienziato" è pressoché sinonimo di
"galileiano": infatti quando elenca nomi e fa riferimenti a
scienziati del 20-mo secolo li include praticamente tutti fra i galileiani, e
spesso dice "galileiani" sottintendendo "scienziati".
Tutto bene. Ma ci sono alcune eccezioni, alle quali dedica un capitolo,
intitolato
Hanno dimenticato Galilei ieri e lo dimenticano ancora oggi: Mach, Einstein e Monod. (pag. 469)
che comincia così:
Jacques Monod (1910-1976) nega la necessità e afferma che tutto è caso: ha dimenticato l'insegnamento galileiano in modo totalmente banale.
A mio parere, qui di totalmente banale
c'è solo la falsità di quanto c'è scritto. Non occorrono
infatti profondi studi e profonde competenze per vedere come stanno le cose:
basta aprire il più famoso libro di Monod, Il caso e la
necessità. A parte il titolo, che
già dice qualcosa, fin dall'inizio troviamo ad epigrafe una frase di
Democrito: "Tutto ciò che esiste nell'universo è frutto del
caso e della necessità". Sfogliando un po', troviamo poi nel cap.
VII (pag. 99 dell'ed. italiana EST-Mondadori 1970) quanto segue:
Ancora oggi molte persone d'ingegno
non riescono ad accettare e neppure a comprendere come la selezione, da sola,
abbia potuto trarre da una fonte di rumore tutte le musiche della biosfera. In
effetti, la selezione agisce sui prodotti
del caso e non può alimentarsi altrimenti; essa opera però in un
campo di necessità rigorose da cui il caso è bandito.
Da queste necessità, e non dal caso, l'evoluzione ha tratto i suoi
orientamenti generalmente ascendenti, le sue successive conquiste, il
dipanarsi ordinato di cui offre apparentemente l'immagine.
Ora se Monod ci dice che molte persone
d'ingegno non riescono a capire, io non pretendo che ci riesca Z.; pretendo
però che informi correttamente i suoi lettori, e non travisi a suo uso
e consumo il discorso di un autore, solo perché costui non è
della sua parrocchia.
Passiamo a Mach, che non sarebbe galileiano
perché "morì convinto che i suoi amici e colleghi erano
usciti di senno con la loro teoria atomica. Com'è possibile - si
chiedeva Mach - studiare cose che mai l'uomo [...] potrà vedere
né toccare?" (pag. 469). Non starò a ripetere quanto ho
già detto, ma ancora una volta debbo notare come Z. tenda a ridurre in
caricatura chi non la pensa come lui. Infatti ecco la sua "risposta a
Mach: Galilei insegna che una teoria è valida se prevede risultati
riproducibili. Non se si limita a ciò che la vista e l'olfatto possono
percepire". Se andiamo a leggere Mach ovviamente troviamo una posizione
assai meno primitiva di questa, e niente affatto irragionevole per i suoi
tempi. Non ha alcuna importanza se oggi sappiamo che aveva torto circa
l'esistenza degli atomi; del resto lo stesso G., solo per fare un esempio, non
volle credere alle orbite ellittiche di Keplero. Aveva torto, ma è
forse meno galileiano per questo?
Infine dobbiamo dedicare un po' di spazio
ad Einstein. È necessario, perché è un caso speciale nel
contesto di questo libro: infatti tra i "fisici galileiani" del
20-mo secolo Z. fa praticamente un'unica eccezione, appunto Einstein. E non
solo: a lui dedica diverso spazio, ma soprattutto per "dimostrare"
che non ha poi merito per tutte le scoperte che gli si attribuiscono:
Per concludere, Einstein è famoso per due cose non sue: la Relatività e la luce che "cade". Pochi conoscono ciò che ha veramente scoperto Einstein: quando mangiamo spaghetti, in effetti stiamo masticando un concentrato di Spazio-Tempo. (pag. 449)
Piuttosto che ripercorrere a forza di
citazioni il punto di vista di Z. su Einstein, cerco di riassumerlo. In
sostanza Z. dice che Einstein ha fatto ben poco, perché
a) Il principio di relatività
l'aveva già enunciato G.
b) Alla natura corpuscolare della luce
c'era già arrivato Newton.
c) Anche la deflessione gravitazionale
della luce è già in Newton, anche se Einstein ha trovato che i
"corpuscoli luminiferi cadono come se avessero massa doppia".
d) Allo spazio-tempo
"complesso" c'era già arrivato Lorentz.
Resta quindi praticamente solo una cosa: quella degli spaghetti, che a Z.
piacciono tanto, mentre a me cucinati in quel modo riescono proprio
indigesti... Detta in altre parole, sempre di Z., la vera scoperta di Einstein
sarebbe che "la massa è curvatura dello Spazio-Tempo".
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Ma allora, se l'unica sorgente di Attrazione Gravitazionale è il
Sole, perché la nostra Terra non precipita rovinosamente verso l'enorme
massa del Sole?
Risposta: alle origini del Sistema Solare (che ancora oggi, nessuno sa
spiegare in modo galileianamente credibile) la nostra Terra volava verso il
Sole. Per nostra fortuna non lo ha centrato. Essa era lontana dal bersaglio di
circa centocinquanta milioni di chilometri. E aveva la velocità giusta
per essere intrappolata dall'Attrazione Gravitazionale prodotta dalla enorme
massa solare. Se la nostra Terra, invece di volare a centosettemila chilometri
orari, avesse avuto una velocità più grande, ci saremmo persi
per sempre nello spazio cosmico della nostra Galassia.
Siamo stati fortunati! La velocità della Terra era quella giusta per
poter restare legati "gravitazionalmente" al Sole, con tutti i
vantaggi di essere perfettamente illuminati e scaldati per miliardi di
anni. (pag. 126).
Non mi pare che occorrano molti commenti:
questa non è fisica né astronomia: sono favole per bambini. Mi
sembra di vederli, questi uomini primitivi che arrivati da lontano, a cavallo
di questa grande palla, finalmente si stropicciano le mani al gradevole tepore
del Sole... Per non parlare poi della "meccanica zichichiana", di un
corpo che arriva con una certa velocità (quella giusta, però) e
si "aggancia" alla forza di gravità del Sole, cambiando
repentinamente traiettoria...
E a proposito: è stata davvero e
soltanto fortuna? Possibile che Dio non ci sia entrato per nulla? Questo da Z.
non me lo aspettavo!
Se per caso pensate che si tratti di un
discorso un po' semplificato sì, ma in fondo episodico, sbagliate,
perché Z. ha già toccato lo stesso tema:
Noi siamo su una trottola cosmica che gira in senso antiorario. Compie un giro completo in ventiquattro ore e dà a noi l'impressione che siano le Stelle a girare attorno alla Terra in senso orario. La scelta del senso orario per il moto delle lancette dei nostri orologi nasce dalla illusione che il cielo con le sue Stelle giri attorno a noi in senso orario. Le lancette degli orologi avrebbero sicuramente ruotato in senso antiorario se, alle origini del Sistema Solare, la Terra fosse arrivata ruotando a trottola in senso orario. (pag. 70).
Signore e signori, in questo quadro vedete
una trottola che arriva dalle profondità dello spazio; si aggancia al
Sole, sempre ruotando in senso antiorario; lo stesso fanno gli altri pianeti
... e nasce il sistema solare.
Non cercate di spiegare a Z. che la
rotazione di Terra e pianeti, quasi tutti nello stesso verso del Sole, abbia
qualcosa a che fare con la formazione del sistema da un'iniziale
concentrazione di materia dotata di momento angolare, perché vi
dirà che non è una spiegazione "galileianamente
credibile", anche se la sua invece è galileianamente
incredibile... Ma soprattutto non provate a convincerlo che parlare di
rotazione oraria o antioraria per la Terra non ha alcun senso, visto che tutto
dipende da che parte si guarda; che lo stesso moto apparente della sfera
celeste è orario per noi se guardiamo a sud, ma è antiorario se
guardiamo a nord. Non ci riuscirete, perché per lui questa è
un'idea ben salda, che ha già espresso in altre occasioni; quindi deve
averci pensato su bene...
Sempre sul sistema solare:
Quando Galilei seppe delle regolarità scoperte da Keplero sui moti dei pianeti, e cioè che quelli più vicini ruotano più velocemente attorno al Sole di quelli lontani, non disse che queste regolarità negavano l'esistenza di Dio. (pag. 129)
Qui direi che Z. riesce a battere se
stesso, per la concentrazione di favole che accumula in poche righe.
Primo: G. non seppe un bel niente da
Keplero, o meglio ignorò nel modo più completo ciò che
Keplero aveva trovato. Non c'è una sola riga negli scritti di G. dove
si dia riconoscimento a Keplero, che al contrario viene duramente criticato
per la sua ipotesi sulle maree (ne abbiamo parlato anni fa).
Secondo: le "regolarità"
di Keplero erano un pochino più profonde che la pura osservazione dei
diversi periodi dei pianeti, che dopo Copernico erano ben noti. Perciò
G. sapeva dei periodi, come lo sapevano tutti gli scienziati del suo tempo,
anche senza bisogno di Keplero.
Terzo: non riesco a vedere perché
mai G. avrebbe dovuto pensare che quelle regolarità negavano
l'esistenza di Dio. A me sembrano irrilevanti in un senso e nell'altro, ma non
pretendo di penetrare le profondità del pensiero teologico
zichichiano.
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Devi stare attento a dire di credere in Dio. Ti fai subito una cattiva reputazione. Di te non diranno che sei uno studioso attento che cerca di capire le verità scritte nel Libro del Creato. Loro che ignorano queste verità [...] diranno di te che sei un credulone ignorante. (pag. 425)
E subito dopo elenca le "dieci menzogne". Ve le riporto qui di seguito senza commento, solo per mostrarvi di che razza di minestrone si tratta:
1) Galilei si fingeva credente in quanto aveva paura dello strapotere
della Chiesa;
2) Dionigi il Piccolo (ca 500-555), autore del Codice Canonico, era un piccolo
abate che non sapeva nemmeno fare somme e sottrazioni;
3) l'estrema precisione del nostro calendario è frutto della tecnologia
moderna che non ha bisogno di Dio;
4) la Scienza ha scoperto tutto e se non scopre Dio è perché Dio non
esiste;
5) è una grande conquista della Scienza moderna l'aver dimostrato che
discendiamo, per evoluzione, dalle scimmie;
6) i responsabili delle bombe e dell'inquinamento planetario sono gli
scienziati;
7) Tecnica e Scienza sono la stessa cosa;
8) il marxismo scientifico è il motore della Scienza;
9) la religione è l'oppio dei popoli;
10) Fede e Scienza sono nemiche.
Le pagine che seguono sono dedicate alla
confutazione di queste "dieci menzogne", ma ve ne faccio grazia...
Piuttosto vorrei soffermarmi su un aggettivo, che si trova infilato come per
caso nel discorso: la cultura atea è spesso definita
"dominante". Lasciamo quindi stare la caricatura, al di là di
ogni immaginazione, che Z. ci propone di questa supposta "cultura",
e cerchiamo di capire il perché dell'aggettivo.
Nella frase iniziale del capitolo Z. vuole
far credere ai suoi lettori che a dichiararsi credenti si viene discriminati e
trattati da "creduloni ignoranti". Forse si viene anche danneggiati
nella carriera; magari non si vince un meritato Nobel...
Ma vediamo di ristabilire qualcosa che si
avvicini di più alla verità. Non mi risulta che nessuno abbia
mai dato a Z. del credulone, e certamente non intendo farlo io. Quanto
all'ignorante, dipende: quando uno si espone pubblicamente con libri, presenze
in TV, interviste, ecc., può venir giudicato in base a ciò che
dice. E dato che la scienza è fortunatamente oggettiva e non è
materia di opinione, "nelle dimostrazioni necessarie o indubitabilmente
si conclude o inescusabilmente si paralogiza, senza lasciarsi campo di poter
con limitazioni, con istorcimenti di parole o con altre girandole sostenersi
più in piede, ma è forza in brevi parole ed al primo assalto
restare o Cesare o niente". Questo, come avete certo capito, non è
Z., ma Galileo (Il Saggiatore). E
l'essere cristiano, buddista, musulmano o ateo non ci ha niente a che
fare.
Né credo che Z. possa lamentarsi di
non aver avuto spazio pubblico per far conoscere le sue idee: da decenni tiene
una rubrica TV, per lungo tempo ha scritto su un quotidiano romano (non so se
lo faccia ancora); ha pubblicato libri che si trovano in ogni libreria e hanno
goduto di ampia diffusione. Niente male, per uno che vive in un Paese dominato
dalla cultura atea...
C'è poi una notizia che forse non
conoscete, e che è successiva all'uscita del libro: circa un anno fa a
Z. è stato assegnato il Premio Fermi, istituito dalla Società
Italiana di Fisica in occasione del centenario fermiano, e destinato a un
socio che abbia onorato la Fisica con le sue scoperte. La commissione
giudicatrice era presieduta dal Presidente della SIF e composta da
rappresentanti dei massimi Enti scientifici nazionali. Forse questo dimostra
solo che la "cultura atea" non è più così
dominante?
Non posso resistere: debbo darvi un esempio
di ciò che Z. definirebbe "cultura atea", anche se risale a
un secolo fa.
La scienza non pretende di essere una concezione del mondo compiuta e
definitiva, ma ha consapevolezza di preparare una tal concezione. La
più alta filosofia a cui uno scienziato possa aderire consiste
nell'accettare una visione del mondo non completa a preferenza di un'altra,
perfetta in apparenza ma insufficiente in realtà. Le opinioni religiose
degli uomini sono un fatto strettamente privato, fino a quando essi non
cerchino d'imporle ad altri, o non le applichino a questioni che appartengono
a un'altra sfera. Gli stessi uomini di scienza hanno su questo argomento
opinioni molto diverse, a seconda della profondità delle loro vedute e
della capacità di valutarne le conseguenze.
La scienza non domanda nulla su ciò che non può essere oggetto
di ricerca esatta o non lo è ancora. Domini oggi preclusi potranno
esserle aperti in futuro, poiché nessun uomo di sano giudizio, onesto
verso se stesso e verso gli altri, esiterà a sostituire
all'opinione sui fatti la conoscenza di questi fatti.
La società attuale è spesso inquieta e cambia frequentemente,
secondo l'impressione e la situazione del momento, i suoi punti di vista, con
il risultato di creare profondi turbamenti morali. Questo fatto è una
conseguenza naturale e necessaria dell'incompletezza e quindi della continua
trasformazione delle sue idee. Una compiuta concezione del mondo non ci
è stata data, ma dobbiamo conquistarla. Solo se sarà concessa
libertà all'esperienza e alla ragione in quei campi in cui esse sole
sono in grado di giudicare, potremo, come speriamo per il bene
dell'umanità, avvicinarci lentamente ma sicuramente a una concezione
unitaria del mondo, conforme alla tendenza economica della sana ragione.
Chi l'ha scritto? Ernst Mach: lo trovate a
pag. 456 della sua Meccanica (ed.
Boringhieri 1977). Capite ora perché Z. lo mette nel girone dei
"non galileiani"? Non è questione di atomi!
* * * |
Il cardinale Francesco Barberini era uno dei tre Cardinali che rifiutarono di firmare la condanna dell'Inquisizione inflitta a Galileo Galilei nel 1616. (pag. 77)
A parte la confusione di date (la condanna è del 1633: nel 1616 venne vietato il De revolutionibus di Copernico, ma senza coinvolgere direttamente G.) è vero che tre cardinali non firmarono, ma altri sette sì. Questo Z. non lo ricorda, come non ricorda che fino alla morte G. fu sottoposto ad arresti domiciliari, impedito di vedere amici e allievi se non sotto sorveglianza; che i Discorsi - secondo Z. l'opera somma di G. - furono stampati a Leida, in Olanda: paese protestante, quindi non soggetto all'autorità della Chiesa di Roma.
I veri nemici di Galilei furono la filosofia aristotelica e i fanatici
dell'"ipse dixit", non la
Chiesa né la Bibbia e il suo Dio.
(pag. 103)
Non furono però gli aristotelici delle università a pronunciare la condanna...
Galilei fece tutto il possibile per impedire alla Chiesa un passo
falso [...] secondo gli esponenti della
cultura dominante, Galilei voleva convincere la Chiesa ad adottare il sistema
copernicano nel quale lui credeva [...]
Galilei non mise mai in dubbio il diritto della Chiesa a intervenire, ma
voleva convincerla a non ricorrere all'autorità delle Scritture per
difendere teorie astronomiche che di religioso non avevano assolutamente
nulla. (pag. 81-83).
Non più di quattro pagine in tutto:
per Z. l'argomento non è poi così importante come lo è
per la "cultura dominante" di tutto il mondo... Perciò
conviene anche a noi occuparci d'altro.
* * * |
Nella Grande Alleanza tra Fede e Ragione sta una forte sorgente di speranza affinché nel mondo possano essere sconfitti coloro che disprezzano sia la Fede sia la Ragione. Il Professor Abdus Salam, pur essendo di religione islamica, amava il Papa ed era convinto che il futuro del mondo doveva reggersi su una Grande Alleanza tra Fede e Ragione e che la Scienza avrebbe dovuto essere insegnata dagli altari. (pag. 409)
Purtroppo Salam è morto, e non
possiamo chiedergli se davvero ha detto questo. A me sembra un bel programma
d'intolleranza confessionale. Che Z. la pensi così, ci sono pochi
dubbi. Che pretenda di tirare dalla sua parte Galileo, non mi piace
affatto.
* * * |
L'intelligenza del Creatore è la più alta. Ecco perché se vogliamo sapere com'è fatto il mondo dobbiamo chiederlo a Lui. [...] Galilei pensava che Dio fosse di più alta intelligenza.
Come vedete, siamo proprio alla tesi centrale: dove cercava G. le risposte ai problemi della scienza? Noi siamo abituati a dire: nel libro della natura. Ma noi siamo imbevuti della cultura atea dominante; invece Z. ci vuole dimostrare che G. cerca le risposte nel Libro del Creatore, e la differenza non è nominalistica. La citazione che segue sarebbe appunto una delle prove che G. pensava così:
"... tuttavia, quando pure il fatto stesse in altra maniera, nessuna resistenza sarebbe in me di credere alle ragioni che da più alta intelligenza mi venissero addotte ..."
Z. indica luogo e pagina da cui la
citazione è tratta, per cui è facile controllarla, sì che
viene naturale prenderla per buona e basta. Ma se un diavoletto scettico vi
sussurra all'orecchio ... potete scoprire che la cosa è un po'
diversa.
Siamo nel Dialogo, e si sta discutendo delle dimensioni del sistema solare e delle
distanze delle stelle. Simplicio ha fatto la seguente obiezione:
... ma non deviamo ammettere, nessuna cosa esser stata creata in vano ed esser oziosa nell'universo; ora, mentre che noi veggiamo questo bell'ordine di pianeti, disposti intorno alla Terra in distanze proporzionate al produrre sopra di quella suoi effetti per benefizio nostro, a che fine interpor di poi tra l'orbe supremo di Saturno e la sfera stellata uno spazio vastissimo senza stella alcuna, superfluo e vano? a che fine? per comodo ed utile di chi?
A questo replica Salviati, con una pagina di discorso che non posso citare per intero, ma non posso neppure tagliare troppo, se vogliamo capire:
Troppo mi par che ci arroghiamo, signor Simplicio, mentre vogliamo che la sola cura di noi sia l'opera adequata ed il termine oltre al quale la divina sapienza e potenza niuna altra cosa faccia o disponga; [...] esempio [...] del lume del Sole, il quale, mentre attrae quei vapori o riscalda quella pianta, gli attrae e la riscalda in modo, come se altro non avesse che fare; anzi nel maturar quel grappolo d'uva, anzi un granello solo, vi si applica che più efficacemente applicar non vi si potrebbe quando il termine di tutti i suoi affari fusse la sola maturazione di quel grano. Ora, se questo grano riceve dal Sole tutto quello che ricever si può, [...] d'invidia o di stoltizia sarebbe da incolpar quel grano, quando e' credesse o chiedesse che nel suo pro' solamente s'impiegasse l'azione dei raggi solari. Son certo che niente si lascia indietro dalla divina Providenza di quello che si aspetta nel governo delle cose umane; ma che non possano essere altre cose nell'universo dependenti dall'infinita sua sapienza, non potrei per me stesso, per quanto mi detta il mio discorso, accomodarmi a crederlo;
[qui è inserito il brano citato da Z.]
In tanto, quando mi vien detto che sarebbe inutile e vano un immenso spazio intraposto tra gli orbi de i pianeti e la sfera stellata, [...] dico che è temerità voler far giudice il nostro debolissimo discorso delle opere di Dio, e chiamar vano o superfluo tutto quello dell'universo che non serve per noi.
In primo luogo c'è da notare la
"laicità" del paragone che G. propone, tra il chicco d'uva e
l'umanità: il mondo non è fatto a esclusivo beneficio dell'uomo,
che non può essere il metro di tutte le cose. Quindi mi sembra chiaro
che cosa intenda G. quando parla di "ragioni che da più alta
intelligenza mi venissero addotte". Dice: secondo me non si deve
giudicare inutile ciò di cui non vediamo un utile per noi; ma se poi
qualcuno "più in alto" (come intelligenza o forse come
autorità) mi porta altre ragioni, non farò resistenza. Che cosa
c'entri l'interpretazione che ne dà Z., lo sa soltanto lui...
* * * |
... ahimé, Signor mio, il Galileo, vostro caro amico e servitore, è fatto irreparabilmente da un mese in qua del tutto cieco. Or pensi V.S. in qual afflizione io mi ritrovo, mentre che vo considerando che quel cielo, quel mondo e quello universo che io con mie meravigliose osservazioni e chiare dimostrazioni avevo ampliato per cento e mille volte, più del comunemente veduto da' sapienti di tutti i secoli passati, ora per me s'è sì diminuito e ristretto, ch'e' non è maggiore di quel che occupa la persona mia... (lettera a Elia Diodati in Parigi, 2 gennaio 1638).
No: qui abbiamo un Galileo impagliato, un fantoccio al quale un autore ventriloquo fa dire quello che vuole. Per dirla con Eduardo, "nun me piace"...
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