3. Uno strumento "innocente": il dinamometro

Per uscire dalle generali, vediamo come viene di solito introdotta la meccanica nei testi più correnti (baserò le mie considerazioni sulla consultazione di oltre una decina di libri fra i più diffusi: pur con le notevoli differenze fra l'uno e l'altro, credo che quello che dirò possa valere per tutti). In primo luogo, sebbene sia noto che stati proposti diversi modi per introdurre il concetto di forza, si può vedere che tutti scelgono come più opportuna, almeno per il livello di scuola che ci interessa, la definizione statica. Senza stare a ripetere cose ben note, dirò solo che in genere si parte da considerazioni intuitive sullo sforzo muscolare che occorre per spostare o deformare i corpi; si cerca poi di dare una definizione che generalizzi e precisi questa idea ancora vaga; si passa infine a dare un procedimento di misura della forza, ricorrendo al solito dinamometro, che viene tarato mediante l'azione di pesi, cioè ricorrendo a una forza particolare e caratteristica: la forza di gravità. Questo procedimento presenta dei punti deboli, che ora vorrei illustrare.
Incominciamo dal dinamometro. Lo strumento sembra piuttosto innocente, e il suo uso del tutto intuitivo: ho una molla fissata a un sostegno rigido, e osservo che quando la tiro con la mano essa cede, si allunga più o meno a seconda del mio sforzo (fig. 1). Dunque l'allungamento della molla può darmi una misura della forza applicata. Per tararla, ricorro a un peso campione, che appendo alla molla (fig. 2): segno il corrispondente allungamento della molla, ecc. Quando un'altra forza produrrà sulla molla lo stesso allungamento prodotto dal peso campione, potrò evidentemente dire che quella forza è uguale al peso campione. Non mi soffermo ora sul procedimento che mi permette di segnare gli altri punti della scala del dinamometro: per lo scopo che mi propongo quanto ho già detto sarà sufficiente.
La critica che si può fare al procedimento esposto, se ci si pone da un punto di vista rigoroso, è la seguente: la situazione del dinamometro quando lo si tara non è la stessa di quando lo si usa per misurare una forza. Nel primo caso infatti la forza campione (l'attrazione terrestre sul corpo campione) non è applicata al dinamometro, ma appunto al corpo campione; nel secondo caso invece questo intermediario non c'è più. Naturalmente è vero che nel primo caso alla molla è applicata una forza esattamente uguale al peso del corpo campione: ma questo io non posso verificarlo direttamente, senza cadere in un circolo vizioso; posso solo dimostrarlo per via teorica. Anche se non essenziale per il mio tema, esporrò ora la dimostrazione, che ha un certo interesse di per sé.

Dunque: il corpo campione C è fermo, appeso al dinamometro D (fig. 3). So che su C agisce l'attrazione terrestre P: ma questa non può essere l'unica forza agente su C, perché altrimenti esso non potrebbe stare in quiete. In base al primo principio della dinamica, posso dire che su C agisce un'altra forza F, tale che F=-P. È facile identificare l'origine di tale forza: è il dinamometro che sostiene C, e la forza F è applicata da D su C nel punto di mutuo contatto. Allora il terzo principio mi permette di concludere che C deve applicare su D un'altra forza F', e che F'=-F. Ne segue F' = P, c.d.d.
Dal ragionamento che precede abbiamo visto che l'idea intuitiva, che su D agisce una forza uguale al peso del corpo campione, è esatta; ma la sua dimostrazione richiede l'uso del primo e del terzo principio della dinamica. Il guaio è che a questo punto della nostra trattazione non abbiamo ancora introdotto tali principi, e perciò non abbiamo il diritto di farne uso.

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