Abbiamo lasciato gli elettroni nella prima puntata come particelle puntiformi cariche, che davano alcuni problemi. Tutti i fisici pensavano che con la meccanica quantistica anche quei problemi sarebbero stati risolti; invece ci sarebbe voluto ancora un bel po' di tempo (ammesso che oggi si possa dire che tutto è risolto...).
Ma a proposito di elettroni
c'è una proprietà di cui non avevo parlato affatto,
perché venne scoperta molto più tardi: negli anni '20 del
XX secolo. Mi riferisco allo "spin".
Tanto per cambiare, non è
possibile raccontare l'intera storia: mi limito a dire che certe
caratteristiche degli spettri atomici indicarono che gli elettroni
dovevano essere dotati di "momento angolare intrinseco", il
che in termini della fisica classica vorrebbe dire che ruotano su se
stessi, come trottole. In inglese un tale movimento si dice "to
spin" e da qui viene il termine che si affermò in tutto il
mondo.
Ho scritto "in termini della
fisica classica" perché la meccanica quantistica non ci
permette di vedere le cose a quel modo, ma non posso spiegare per bene
il motivo. Una cosa si può dire: questo momento angolare
intrinseco non può mai essere cambiato. Il suo modulo vale
h/4
Un'altra conseguenza del
comportamento quantistico è che se si misura la componente
dello spin in una direzione scelta come si vuole, si trovano solo due
valori possibili: ±h/4
L'esistenza dello spin, e il famoso
principio di Pauli (che cito ma non userò in seguito, almeno
spero...) sono fondamentali per spiegare la struttura atomica e il
legame chimico; contribuirono insomma al grandioso successo della
meccanica quantistica nel decennio 1925-35 o giù di
lì.
La prima trattazione quantistica dello
spin è dovuta a Pauli, per mezzo delle tre matrici che da
allora si chiamano appunto "matrici di Pauli".
Ma se ho voluto parlare dello spin
è per un altro motivo: l'elettrone ha anche un "momento
magnetico", come se fosse una piccola calamita, o una minuscola
spira percorsa da corrente. Produce quindi un campo magnetico, e
subisce azioni da campi magnetici esterni.
In fondo la cosa non è affatto
strana: se pensiamo a una pallina macroscopica che porti una carica
elettrica, e la mettiamo in rotazione, questa si comporterà
come un insieme di spire percorse da corrente, e quindi avrà un
momento magnetico. Sembra che ciò rafforzi l'immagine
dell'elettrone come pallina che ruota.
Ma c'è un ma: se facciamo
l'ipotesi più ragionevole, ossia che la carica dell'elettrone
(pallina) sia distribuita come la massa, possiamo dimostrare che ci
dovrà essere un preciso rapporto fra momento magnetico e
momento angolare: esattamente
e/2mc (in unità di Gauss). Il momento magnetico
dell'elettrone si può misurare in vari modi, e il risultato era
univoco: il rapporto era esattamente
doppio di quello previsto.
Un mistero in più, da aggiungere
agli altri. E non va dimenticato che in realtà nessuno aveva
idea di come fosse "fatto" un elettrone...
Mentre accadevano queste cose, c'era
chi non si riteneva soddisfatto della meccanica quantistica di
Heisenberg-Schrödinger, per una ragione precisa: era una
meccanica quantistica non relativistica.
Anche questo non era un problema nuovo:
si era già posto ai tempi di Bohr. Nel modello di Bohr
dell'atomo d'idrogeno, come sappiamo, l'elettrone descrive orbite
circolari attorno al protone (che ha massa molto maggiore, quindi sta
praticamente fermo). Si può facilmente calcolare la
velocità, che dipende dal raggio dell'orbita (è un
esercizio da liceo...). Prendendo l'orbita più piccola
possibile, si verifica che la velocità è minore di
c/100; un'approssimazione migliore
è c/137.
La costante 1/137 è in
realtà 2
N.B.: la formula così scritta vale in unità
elettrostatiche; chi sia più abituato al SI dovrebbe sostituire
sempre, qui e nel seguito, e²/(4
Dunque la velocità degli
elettroni negli atomi è piccola rispetto a c (il caso che abbiamo considerato è il
peggiore possibile, almeno per gli elettroni "ottici", ossia
quelli coinvolti nell'emissione e assorbimento di radiazione visibile)
e si potrebbe pensare che gli effetti relativistici siano
trascurabili. Però la spettroscopia già a quei tempi
aveva raggiunto sensibilità incredibili, e si pensava che le
correzioni relativistiche avrebbero dovuto essere misurabili.
Ma in che consistono questi effetti
relativistici?
Debbo farla corta, e dico solo il
risultato, non come ci si arriva. Sappiamo che Bohr era riuscito a
giustificare la quantizzazione dei livelli energetici dell'atomo
d'idrogeno e anche a dare una formula: |En|
|
Debbo precisare che c'è
un'altra "struttura fina", presente in tutti gli atomi,
anche più pesanti dell'idrogeno. Non può essere dovuta a
effetti relativistici, perché le velocità sono sempre
più piccole, mentre la struttura cresce di entità.
Infatti fu proprio questa struttura fina che
portò all'idea dello spin e al momento magnetico associato (e non dico
perché, tanto per cambiare...).
Per tutte queste ragioni, era
necessario costruire la "meccanica quantistica relativistica
dell'elettrone dotato di spin". Quest'impresa sarebbe riuscita a
Dirac nel 1928, e non mi è minimamente possibile spiegare come.
Ma tre cose debbo dire:
a) | Dirac riuscì a mostrare che dalla sua equazione (ovviamente nota come "equazione di Dirac") che sostituiva quella di Schrödinger, seguiva necessariamente che allo spin dell'elettrone doveva essere associato un momento magnetico, e proprio della misura nota sperimentalmente. |
b) | Verificò che ne seguiva la struttura fina
dell'idrogeno, in una forma che inglobava quella calcolata da
Sommerfeld e l'effetto del momento magnetico di spin, e in
perfetto accordo con le misure. |
c) | Last but not least : si accorse che la sua equazione ammetteva soluzioni non interpretabili come gli elettroni già conosciuti, ma come "antiparticelle" di carica opposta. |
Queste antiparticelle vennero in un
primo tempo confuse coi protoni, già noti; ma si capì
presto che non potevano essere, perché non c'era ragione che
avessero massa diversa dagli elettroni.
Poco dopo (1932) Anderson dimostrava
che certe tracce osservate in una camera di Wilson esposta ai raggi
cosmici dovevano indubitabilmente essere interpretate come tracce di
"elettroni positivi" (poi denominati
"positroni").
Era, credo, la terza volta in meno di
un secolo che la fisica teorica portava a scoprire qualcosa di
esistente ma fino allora sconosciuto: il pianeta Nettuno nel 1846, le
onde e.m. nel 1888, e ora una nuova particella.
Ma come mai i positroni non erano
stati visti prima? Che proprietà hanno?
Ne riparleremo nella prossima
puntata...
(Fine della terza puntata)