Nella puntata precedente abbiamo visto che il
problema di mettere in interazione elettroni/positroni coi fotoni si riduce a
scrivere una certa "lagrangiana d'interazione", che consiste in un
prodotto di quattro fattori:
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Ora che abbiamo le "giuste"
equazioni per i campi in interazione, occorre interpretarle e poi applicarle a
problemi concreti.
Il problema è costituito
dall'osservazione già fatta, che ora le equazioni non sono più
lineari (questo deriva dal fatto che nella lagrangiana d'interazione figura il
prodotto di tre campi, ma non posso
spiegare di più).
Le equazioni non lineari sono sempre un
problema, a meno che non sia possibile qualche approssimazione.
L'approssimazione più ovvia si ha quando il termine d'interazione
è piccolo, perché allora si può sperare che l'effetto
dell'interazione sia modesto, e possa essere trattato come una
"perturbazione" rispetto al caso in cui l'interazione non
c'è.
Attenzione alla parola magica:
"perturbazione"! Vedremo che nel seguito tutto ruoterà
attorno a quest'idea, croce e delizia del fisico teorico...
Se l'interazione sia grande o piccola,
dipende dal valore di un parametro, che figura nella suddetta: la carica
e.
Ora e non
è un numero puro (è la carica dell'elettrone) e non ha
perciò senso chiedersi se sia grande o piccolo; ma è facile
ricavarne un numero puro, anzi l'abbiamo già visto: la costante di
struttura fina 2πe²/hc. Questa
è piccola, e ci dà buone
speranze.
Ora debbo fare qualche affermazione che non
mi è possibile giustificare decentemente, circa l'interpretazione della
nostra interazione.
Compare il potenziale (che fa le veci del campo
e.m.): ciò significa che il processo più semplice possibile
prodotto da quell'interazione comporterà la creazione o la distruzione
di un fotone.
Compare il campo
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I primi due processi possono essere descritti
in modo equivalente dicendo che un elettrone/positrone modifica il suo stato
di moto (impulso ed energia). Ma come è possibile questo?
Risposta: perché allo stesso tempo (e
nello stesso punto) è apparso o scomparso un fotone, che si porta via
(o fornisce) impulso ed energia nella misura necessaria per la conservazione.
Analogo discorso negli altri due casi.
Mettiamo tutto insieme, e ritroviamo proprio
i processi elementari che avevamo indicato nella quarta puntata, e che ora
riscrivo:
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Siamo ora in possesso della teoria dell'interazione tra fotoni ed elettroni, che non è altro che l'elettrodinamica quantistica oggetto di tutto il nostro discorso. Eppure il discorso non è ancora finito: come mai? La ragione è che la teoria così costruita è ancora incompleta, per un motivo che vedremo in seguito: per ricordare ciò, la indicherò con QED1 (da leggersi "QED in prima approssimazione").
Nel decennio 1930-40 la teoria QED1 fu messa alla prova, calcolando con essa tutto il calcolabile, e trovando sempre completo accordo sia con i dati sperimentali, dove disponibili, sia con la teoria semiclassica, dove questa era applicabile. (Ricordiamo: nella teoria semiclassica i fotoni non esistono: il campo e.m. è quello di Maxwell.)
Solo per dare qualche esempio:
1. Fu studiata l'emissione e l'assorbimento di fotoni da parte di atomi,
ritrovando sia le formule della teoria semiclassica, sia l'emissione spontanea
(che come ricorderete la teoria semiclassica non poteva spiegare). C'è
anche da dire che QED1 fornisce una visione integrata dei due processi di
emissione spontanea e indotta (ovvero stimolata), fornendo inoltre tra le loro probabilità esattamente il
rapporto che Einstein aveva previsto dal 1917 (notate: quando non esisteva
neppure la meccanica quantistica!)
È appena il caso di ricordare che
l'emissione stimolata sta alla base del funzionamento dei laser, che sarebbero
stati inventati solo 30 anni dopo...
2. Furono calcolate e verificate le modalità dell'"effetto Compton", nel quale un fotone urta un elettrone fermo (o quasi) e viene riemesso con energia minore, la residua energia essendo acquisita dall'elettrone. L'effetto Compton era noto dal 1925, ma non poteva essere spiegato dalla teoria semiclassica.
È il caso di soffermarsi sull'effetto
Compton, perché si presta bene a mostrare alcune caratteristiche di
QED1.
Nello stato iniziale abbiamo un elettrone e
un fotone; in quello finale lo stesso, anche se tanto l'elettrone quanto il
fotone avranno energie diversa da prima, e si muoveranno in direzioni
differenti.
Ma come si arriva dallo stato iniziale a quello
finale? Ci si deve arrivare attraverso uno o più dei 4 processi
elementari visti sopra, e si vede facilmente che i processi coinvolti debbono
essere due, dato che in ciascun processo elementare un solo fotone appare o
scompare. Dovremo qui far scomparire il fotone iniziale, e far apparire quello
finale: ma non è determinato l'ordine temporale in cui i due eventi
avvengono. Può darsi che prima venga assobito il fotone iniziale, e poi
venga emesso quello finale (fig. 1) ma può benissimo accadere che
prima venga emesso il fotone finale (e
così abbiamo per un certo tempo due fotoni) e poi scompaia quello
iniziale (fig. 2).
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3. Continuando con i calcoli e verifiche: ricordate che una carica accelerata irraggia? Ebbene, QED1 è in grado di calcolare anche questo fenomeno (che è tradizionalmente noto col termine tedesco Bremsstrahlung): si riesce a prevedere la probabilità che vengano emessi uno o più fotoni, di quali energie, in quali direzioni...
Potrei continuare, ma non è il caso: il nocciolo del discorso è che sembra che tutto fili a perfezione. E invece non è così, ma tanto per cambiare ne riparleremo nella prossima puntata.
(Fine della sesta puntata)