La candela

(37-ma puntata)

Riprodotto da "Naturalmente", Bollettino di informazione degli Insegnanti di Scienze Naturali
Anno 15, n. 3 (ottobre 2002)

Ultima revisione: 30-1-03

Ogni tanto mi capita di leggere, per dovere d'ufficio, libri che altrimenti non leggerei. Il "dovere d'ufficio" consiste nel fatto che essendo impegnato, anche con questa rubrica, in un lavoro di diffusione e critica d'idee scientifiche, debbo tenermi informato su ciò che pensano e scrivono autori magari famosi ma che sento molto distanti, per una ragione o per l'altra.
Chi legge questa rubrica sa poi della mia attenzione alla figura di Galileo: forse non c'è puntata dove non mi sia capitato di citarlo; e forse qualcuno avrà anche pensato che esagero... Fate due più due, e siete arrivati: se esce un libro dedicato a Galileo come posso non leggerlo? Avrete sicuramente capito che sto parlando dell'ultima fatica di A. Zichichi: Galilei, divin uomo (Il Saggiatore, 2001).
Avete letto bene: "Galilei", non "Galileo". Infatti l'Autore ci avverte fin dalla pagina di risguardo che a lui non piace che G. venga chiamato per nome (forse gli sembra un'irriverenza?). Non importa che tutti dicano Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Tiziano ... e che questo sia più un omaggio a una fama mondiale e imperitura, che un segno di confidenza: per lui G. va chiamato per cognome. Perciò lo stesso faremo con lui: non ci permetteremo di chiamarlo Antonino, ma sempre e solo Zichichi...
Tutti sappiamo che Zichichi è un personaggio noto e controverso; sarebbe perciò facile e quasi naturale spostare il discorso dal libro alla persona dell'autore. La mia intenzione però non è questa: nei limiti del possibile qui intendo parlare solo del libro, e dell'autore solo per quanto traspare dal libro o è necessario per illustrare il libro.
* * *
Diciamo subito che quello che abbiamo davanti non è un libro di fisica, né di storia della fisica: è un libro a tesi. La tesi è di mostrare G. come il vero solo unico fondatore della scienza in quanto credente. Per non lasciare dubbi a chi legge, do senz'altro la parola all'Autore:

I pensatori dell'Era pre-galileiana avevano cercato invano le verità fondamentali senza riuscire a trovarne nemmeno una. Nel corso dei secoli e dei millenni poco era cambiato nella visione del mondo (vedi pagina accanto). Galilei è il più grande pensatore di tutti i tempi e di tutte le civiltà in quanto è riuscito a tagliare il traguardo. A questo traguardo, senza precedenti nella storia del pensiero, Galileo Galilei arriva, non per atto di Ragione e basta, bensì per atto di Fede nel Creatore che lascia le Sue impronte nella materia "volgare". (pag. 153).

Una breve spiegazione e un commento. La parentesi "vedi pagina accanto" si riferisce a una particolarità del libro: le pagine pari sono riservate a figure, fotografie, citazioni, a succinte esposizioni dell'autore su particolari argomenti; il testo invece si sviluppa solo nelle pagine dispari.
Commento. Già da questo primo esempio si vede un'altra peculiarità del libro: è costruito in modo retorico (nel senso letterale del termine). Mira assai più a convincere che ad argomentare; rarissimi i ragionamenti, moltissime le asserzioni apodittiche, come pure le iperboli. Ne abbiamo un paio di esempi nel brano appena citato: "G. il più grande pensatore di tutti i tempi e di tutte le civiltà" e poi "I pensatori dell'Era pre-galileiana avevano cercato invano le verità fondamentali senza riuscire a trovarne nemmeno una". Entrambe le asserzioni non reggono al più semplice esame critico, ma questo a Z. non importa: il suo pubblico, quello per cui lui scrive, e che ritengo conosca assai bene, non è raffinato né particolarmente colto, ed è più propenso a fare atto di fede nell'autore, che conosce come uno dei più grandi scienziati viventi (su questo torneremo).
Avete presente quel noto uomo politico che spiegando ai suoi come si debba fare propaganda elettorale ha detto di non dimenticare mai che si trovano davanti persone col livello intellettuale medio di un bambino di 12 anni, neppure tanto sveglio? Ecco: leggendo il libro di Z. sono portato a pensare che anche lui la veda allo stesso modo riguardo ai suoi lettori...
Un'altra cosa che vien fatta di pensare sfogliando questo Galilei è che Z. potrà avere molte virtù, ma non certo la modestia. Il libro è corredato di numerose fotografie (purtroppo di qualità scadente, perché stampate a retino): ne ho contate 42 di persone, più altre di apparati sperimentali e varie. Bene: in 25 appare l'Autore, solo o meglio in compagnia di personaggi famosi: da Giovanni Paolo II a diversi premi Nobel. Inoltre in aggiunta al consueto risvolto di copertina, dove è d'uso che un autore presenti alcuni cenni autobiografici, qui magari un po' troppo encomiastici, c'è la pag. 565 (la penultima del libro) che è intitolata "Antonino Zichichi" e riporta tutte le sue benemerenze scientifiche. Non posso certo copiarla per intero, ma ve la riassumo:

È autore di oltre cinquecento lavori scientifici ...
Ha scoperto: (6 scoperte).
Ha inventato: (4 invenzioni).
Idee originali: (3 idee).
Misure di alta precisione: (4 misure).
Libri: (è autore di sei libri).
A pensarci bene però questa non è, come potrebbe a prima vista sembrare, un'esibizione fine a se stessa e di dubbio gusto: ha invece lo scopo di convincere il lettore dodicenne di cui si diceva che l'Autore è un grand'uomo, e quindi dev'essere creduto sulla parola.
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Dicevo sopra che non abbiamo davanti un libro di storia della fisica: vediamo un po' più da vicino. La prima cosa che colpisce è la perentorietà dei giudizi, che non di rado diventa rozzezza. Per esempio:

La Scienza, abbiamo visto nel §3.8, deve poco a Copernico. Poco. Forse nulla. Aristarco, essendo riuscito a stabilire con precise misure astronomiche che il Sole era molto più grande della Terra, disse che era assurdo ritenere la Terra ferma e il Sole che le girava attorno. L'eliocentrismo nasce con Aristarco. Se dopo cent'anni da Copernico non fosse nato Galilei, il suo eliocentrismo avrebbe fatto la stessa fine di quello - identico - di Aristarco". (pag. 445).

Sorvoliamo sul fatto che le "precise misure" di Aristarco non erano poi così precise, né potevano esserlo, a quei tempi, e lo portarono a sottostimare gravemente la distanza Terra-Sole (il che non toglie niente alla grandezza di Aristarco, se consideriamo il tempo in cui operava). Ma non si può liquidare così brutalmente il pluridecennale lavoro di Copernico, che implica ben altro che un'occasionale osservazione. Non posso dilungarmi, e mi limito a due soli esempi.
In primo luogo, Copernico correttamente osserva che se si assume che i pianeti esterni girino attorno al Sole a distanza maggiore della Terra, allora si spiega subito perché essi abbiano la massima luminosità quando sono all'opposizione, in quanto in quel momento sono più vicini alla Terra; fatto questo che nello schema tolemaico non ha invece niente di necessario. Secondo: Copernico dà una semplice spiegazione della precessione come moto dell'asse terrestre, al posto di un'artificiosa combinazione di epicicli, necessaria nello schema tolemaico. Tutto questo per Z. non esiste; o più probabilmente, lo ignora.
È ben vero che il moto della Terra andava incontro a obiezioni dinamiche, e che proprio a queste s'indirizza G. nei Massimi Sistemi; ma è altrettanto evidente - checché ne pensi Z. - che non avremmo avuto G. senza Copernico. Del resto, qualunque scienziato degno di questo nome ha sempre riconosciuto il suo debito verso chi l'ha preceduto, senza sentirsi diminuito per questo. Conosciamo la frase attribuita a Newton: "se ho visto più lontano di altri, è perché stavo sulle spalle di giganti". Se Z. sembra pensarla diversamente (e ne vedremo altri esempi) me ne dispiace per lui, e soprattutto per chi gli dà retta.
E Keplero? Z. dedica molto spazio a criticare (giustamente) il suo sogno dei poliedri regolari inseriti tra le sfere dei pianeti, e poi liquida la sua vera scoperta in poche parole: "Restano le sue tre 'leggi,' che sarebbe più corretto chiamare 'regolarità'". (pag. 447). E così Z. cancella il valore storico rivoluzionario del lavoro di Keplero: l'essersi basato sulle accurate osservazioni di Tycho, l'aver avuto il coraggio di abbandonare i moti circolari in favore di ellissi. È ben vero che G. non prese mai sul serio Keplero (e aveva torto) ma lo stesso non si può dire di Newton, che si pose come compito fondamentale appunto quello di spiegare le "regolarità" di Keplero, riconducendole a una teoria generale.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma lo spazio è tiranno... Non potrò certo fare a meno di descrivere la valutazione che Z. dà di Einstein; ma ne parleremo più avanti. Voglio invece concludere questo richiamo a Z. "storico della fisica" con un cenno ad alcune incredibili trasandatezze, che pure si trovano nel libro. Ne cito soltanto una. A pag. 44 c'è una fotografia della famosa "lampada di Galileo". In proposito Z. ci racconta che essa fu eseguita nel 1587, e poi aggiunge: "Venne chiamata così in quanto Galilei, mentre da ragazzo serviva Messa, osservò le oscillazioni di quel lampadario, ne intuì l'isocronismo e realizzò poi il suo primo strumento, il pendolo (§5.3) per studiare la Logica del Creato". C'è solo un problema: Galileo nel 1587 aveva 23 anni, e come ci dice lo stesso Z. poche pagine dopo, in quell'anno tentò di ottenere una cattedra di matematica a Bologna. Al tempo stesso "serviva Messa" a Pisa? Lo strano è che tutti sanno che quella della lampada è una leggenda; ma Z. la propina ugualmente al suo lettore dodicenne...
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Per sostenere la sua tesi di G. unico fondatore della scienza, Z. non esita a commettere vari altri "reati" storici, esagerando grandemente la portata delle sue scoperte (come se G. non fosse già grande abbastanza per quello che ha fatto davvero!). Diamo ancora qualche esempio.
G. ha scoperto la conservazione dell'energia: "... Riflettendo sui moti lungo piani inclinati Galilei misurò l'altezza da cui parte una sfera e, ponendo un altro piano su cui fare risalire la stessa sfera, Galilei scoprì che le due quote erano coincidenti. [...] È con queste misure che Galilei scopre il primo esempio di conservazione dell'energia". (pag. 205).
È forse superfluo ricordare che sebbene la scoperta dell'uguale quota sia vera, perché la si vedesse come conservazione dell'energia doveva passare almeno un secolo...
G. (non Newton) ha scoperto la seconda legge della dinamica: "Galilei scoprì che il bicchiere si ferma in quanto c'è una forza negativa, l'attrito (vedasi §5.2) che si oppone al moto. In verità una forza produce un cambiamento di velocità. [...] Conclusione: la forza è proporzionale all'accelerazione, non alla velocità". (pag. 207).
G. ha scoperto la quantità di moto: "Un'altra conseguenza degli studi galileiani sulla forza che è proporzionale all'accelerazione, non alla velocità, portò Galilei a scoprire la cosiddetta 'quantità di moto'". (pag. 211).
Queste sono pure fantasie, in quanto G. non parla mai di "forza", ma solo di "gravità", di "impeto", di "impedimenti esterni": non c'è mai una formulazione quantitativa, al di là della legge del moto uniformemente accelerato e dell'uguale accelerazione di tutti i gravi (e scusate se è poco, ma a Z. non basta...).
E perciò insiste: "Galilei scoprì che se un oggetto ha una enorme massa inerziale esso possiede una enorme massa gravitazionale". (pag. 215). Inutile dire che in realtà G. non parla mai di massa, concetto che gli è estraneo e che viene esplicitato solo da Newton. Quanto alla distinzione inerziale/gravitazionale, è uno sviluppo dell'800.
Ma non basta: G. ha scoperto la pressione atmosferica: "Forse, pensò Galilei, il motivo per cui una colonna d'acqua arriva a dieci metri d'altezza è il peso della colonna d'aria che c'è nell'atmosfera". (pag. 98).
Purtroppo neanche questo è vero: nella prima giornata dei Discorsi G. si pone il problema della pompa aspirante, e attribuisce il limite di dieci metri alla "repugnanza del vacuo", di cui quei dieci metri (diciotto braccia) danno la misura. G. sbaglia, ma anche in questa pagina la sua grandezza risalta per il modo di argomentare, per le proposte sperimentali, insomma per il modello di ricerca che rappresenta. E ogni fisico sa (anche Z., in quanto fisico sperimentale, dovrebbe saperlo) che la ricerca è costellata di errori, che ciascuno impara dagli errori di chi è venuto prima, che spesso servono a tracciare una strada. Nel caso in questione, sarebbe stato Torricelli ad andare avanti su quella strada.
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Lasciamo ora il Z. storico, e occupiamoci del Z. epistemologo. L'incontriamo quando ci parla dei "tre livelli di credibilità scientifica" (pag. 155 e seguenti), che cerco qui di sintetizzare. Il primo livello, della vera "scienza galileiana", è quello "del rigore matematico e degli esperimenti riproducibili": in pratica, stando agli esempi dell'Autore, la fisica delle interazioni fondamentali. Si dà il caso che tutti gli esempi citati siano relativi a lavori di Z., ma questo rientra nella già ricordata ... immodestia a fin di bene.
Capisco che non si può pretendere troppo da un libro rivolto a un pubblico di dodicenni, ma la sicurezza con cui Z. parla va messa in discussione. Anche se sarebbe troppo chiederlo a lui, bisogna avere il coraggio di riconoscere che gli esperimenti ai quali Z. pensa sono riproducibili solo in linea di principio, mentre non lo sono affatto, o molto raramente, nella pratica degli scienziati reali.
Questo per due ragioni: sono esperimenti di grandissima complessità, che possono impegnare per anni gruppi numerosissimi di ricercatori e tecnici, nonché alcune delle macchine più potenti e costose di cui disponiamo. È perciò ben difficile che qualcuno si avventuri nell'impresa di ripetere un esperimento già fatto, solo per vedere se trova gli stessi risultati.
Ma anche se volesse, andrebbe incontro alla seconda difficoltà: il costo. Le risorse finanziarie non sono illimitate, e debbono essere destinate alle attività più promettenti: quelle da cui ci si aspetta qualcosa di nuovo. Perciò anche se si trovasse un gruppo di studiosi interessato a ripetere un esperimento, si vedrebbe bocciare inesorabilmente la proposta dai comitati addetti al finanziamento e all'assegnazione dei tempi sulle macchine.
Dunque il discorso sulla riproducibilità è ben più delicato di come Z. lo presenta. Non sto sollevando il sospetto che quindi tutti gli esperimenti siano in realtà da mettere in dubbio, ma voglio solo sottolineare che la ricerca epistemologica sui veri criteri di affidabilità di molta della ricerca fisica presente è tutta da fare.
Ma anche il rigore matematico è aperto a discussione, per ragioni in parte simili, in parte del tutto diverse. C'è in primo luogo la grandissima complessità di molta della fisica teorica di oggi, che porta spesso all'impossibilità di coltivare quell'ideale di rigore. Ci si deve accontentare spesso di soluzioni approssimate, senza neppure saper dare una stima dell'approssimazione; a volte si è costretti ad adoperare tecniche delle quali non è ancora stato studiato bene il significato e l'affidabilità.
C'è poi il problema del controllo. Anche qui sussiste un mito: il confronto "tra pari", ossia il sistema dei "referees" per le riviste scientifiche. Ma chiunque sia addentro nella materia sa che oggi il mestiere del referee è divenuto quasi impossibile: troppi sono i campi di ricerca specialistica, troppo poco il tempo che si può dedicare all'esame di un lavoro, pochi i referee veramente competenti e coscienziosi... Perciò non si può mai essere certi che un lavoro pubblicato sia corretto; e d'altra parte il lettore interessato raramente ha il tempo e la possibilità di controllare i calcoli, rileggere la bibliografia citata, ecc.
Non ho finito il racconto delle difficoltà della ricerca fisica nel tempo presente, e al tempo stesso non voglio dare l'impressione che quindi sia tutto da buttar via: sicuramente molti esperimenti sono validi e molte ricerche teoriche portano avanti le nostre conoscenze. Ma una mitizzazione antistorica come quella di Z. "del rigore matematico e degli esperimenti riproducibili" mi sembra insostenibile come criterio rigido per decidere della credibilità scientifica. Però a lui, come vedremo, fa comodo così...
* * *
Il secondo livello è quello dei "fenomeni su cui non possiamo avere controllo diretto: il dominio dell'Astrofisica". Si basa sul primo livello, ma è chiaramente inferiore. Sentiamo Z.:

Abbiamo già detto che il Dialogo è il primo esempio di Scienza galileiana di secondo livello. La fama di Galilei è erroneamente legata a quest'opera in quanto - come detto prima - la cultura dominante atea aveva trovato in essa il fulcro di tutta l'azione contro la Chiesa. E abbiamo anche detto che Galilei, nel rinunciare a ciò che aveva scritto nel Dialogo sull'eliocentrismo, sapeva che qui c'era in gioco il secondo livello di credibilità scientifica, non il primo. (pag. 165).

Incontriamo qui un personaggio che ricorre in tutto il libro: la "cultura dominante atea", il Male al quale Z. addossa tutte le colpe... Ne riparleremo.
Ma è singolare la tesi: insomma G. non ha poi sofferto molto a dover abiurare, perché in fondo si trattava di "scienza di secondo livello". Qui ritroviamo il Z. storico, ma stavolta al servizio della sua tesi centrale. Anche su questo dovremo tornare; per ora mi limito a dissentire solo per un aspetto: che il Dialogo sia davvero scienza di secondo livello, per seguire la distinzione zichichiana. Si vede che Z. non ne ha mai letto la prima giornata, dove per es. si discute sulla natura fisica della Luna, confrontando ciò che vi si vede con quello che possiamo vedere in adatti esperimenti terrestri. G. vuol dimostrare che la Luna è fatta di roccia (e piuttosto scura) anziché di cristallo trasparente come sosteneva la scienza tradizionale; nel discutere di questo fonda i metodi e i criteri della fisica sperimentale.
Z. direbbe: va bene, ma siccome la Luna non era accessibile a G., la sua era scienza di secondo livello. Mi permetto di non essere d'accordo. La Luna era accessibile in linea di principio, e G. ci dice che cosa si troverebbe se ci si potesse andare. Ricordate? Ne ho parlato cinque anni fa:

"Se io fossi nella Luna stessa", dice Sagredo. Forse riderete di me, ma io non riesco a leggere queste pagine senza emozione. Sarebbero occorsi più di tre secoli prima che qualcuno mettesse piede sulla Luna; ma Galileo, con un muro, uno specchio e il coraggio del suo argomentare, ci aveva già fatti certi di quello che vi avremmo trovato.
Questo vuol dire, ovviamente, che a me codesta distinzione fra i due livelli suona alquanto artificiosa, e forse soltanto strumentale, Cicero pro domo sua. Insomma: "la fisica di cui mi occupo io è quella vera; il resto possiamo tollerarlo, ma purché se ne stia al suo posto". Se poi andiamo sotto il terzo livello ... vedrete. Oltre tutto, il discorso non mi suona neppure coerente. Come vedremo, Z. classifica Mach come scienziato "non galileiano" perché non accettava l'esistenza degli atomi. Ma dal momento che ai suoi tempi non era possibile (fino a una certa data) fare previsioni verificabili sulla realtà degli atomi, col rigoroso criterio di Z. era piuttosto Mach a essere galileiano, mentre i sostenitori degli atomi non differivano molto dal G. che parla della Luna. Poi si è visto che avevano ragione i sostenitori degli atomi, come l'aveva G. sulla Luna; se dunque sono galileiani i primi, allora anche il Dialogo va promosso al primo livello.
Ma forse questo significa solo che siamo in presenza di un'epistemologia un po' zoppicante... Peccato, perché il problema di come si raggiunga credibilità scientifica nei diversi campi non è problema da poco, e meriterebbe una discussione seria. Mi rendo conto d'altra parte che non la si può chiedere a questo libro, visto il pubblico cui è destinato; e che l'Autore neppure se lo propone, perché per lui in realtà questa gerarchia di livelli ha una funzione precisa: mettere sopra a tutto la fisica che fa lui, e sotto a tutto la sua bestia nera, di cui dirò tra poco.
Abbiamo infine il terzo livello: "quello degli eventi che accadono una sola volta". Stiamo parlando della cosmologia. Comunque, secondo Z.

L'evoluzione del Cosmo è basata su equazioni e si fonda su verità scientifiche del primo livello. Nella descrizione matematica dell'evoluzione cosmica intervengono le Tre Colonne e le Tre Forze. È grazie a questo rigore che sono stati scoperti i problemi non risolti del Big Bang. Ed è così che è stato possibile mettere in crisi questa teoria. Oggi pochi di noi credono che sia nel Big Bang l'origine dello Spazio e del Tempo. (pag. 167).

Se non avete capito, non è colpa della brevità della citazione: anche se leggete tutto il libro non capirete di più. A parte l'abbondanza delle maiuscole (Z. ha la maiuscola facile ...) è difficile estrarre un succo. Posso accennare che le "Tre Colonne e le Tre Forze" sono la versione zichichiana di quello che di solito viene chiamato il "modello standard". Posso far notare che non si parla, né qui, né prima, né dopo, del ruolo che hanno in cosmologia le osservazioni. Posso rilevare l'insinuazione (non so come altro chiamarla) sulla "crisi del Big Bang".
Personalmente non sono un appassionato sostenitore del Big Bang, come del resto di nessuna teoria fisica (le teorie hanno bisogno di critiche e di verifiche, non di credenti o detrattori) ma non mi piace questo metodo di lanciare il sasso e nascondere la mano. Non si sa in che cosa consisterebbe la crisi; si afferma che "pochi di noi credono" (è proprio sicuro? come fa a dirlo?)... Solo una cosa si capisce, diciamolo francamente: quello che qui Z. lascia intendere senza dirlo è che alla cosmologia manca la Creazione (maiuscola d'obbligo).
Ricordiamoci: il lettore tipo ha 12 anni. Non gli possiamo mica spiegare quali siano i problemi della cosmologia, e magari anche i suoi successi, le idee su cui si fonda... Occorre e basta che un'Autorità (autonominata) gli dica quello che deve credere: che la cosmologia è di terzo livello, quindi inferiore al già inferiore secondo livello; che ha bisogno del primo livello (il che è vero, ma in modo alquanto più complesso di come viene qui rappresentato); che la sua ipotesi fondamentale è in crisi.
Invece, delle Tre Colonne e delle Tre Forze nessuno dubita né può dubitare: quando parla di questo, Z. mostra una certezza incrollabile. Lì abbiamo raggiunto la Verità.
* * *
Ma lo spazio stringe, e debbo ancora parlare di molte cose; a questo punto la più naturale è il "quarto livello". In realtà, se qualcuno ha letto il libro, obietterà subito che il quarto livello non c'è... È vero, l'ho inventato io. Invece Z. affronta, in circa 30 pagine, un altro dei suoi grandi nemici: l'Evoluzionismo Biologico della Specie Umana, che non è per lui degno di occupare nessun livello. Per la verità le 30 pagine che ho detto sono quasi solo la ripetizione insistente dello stesso concetto (non dimenticate: il bambino non è tanto sveglio ...). Perciò per fortuna vostra più che mia, posso evitare di esaminarle tutte, e riportare solo qualche frase.

L'Evoluzionismo Biologico della Specie Umana (EBSU) è la struttura portante della cultura atea che, apparentemente preoccupata di ciò che potrebbe essere dannoso per la cultura cattolica, raccomanda alla Chiesa di fare attenzione a non ripetere lo stesso errore commesso contro Galileo Galilei e il suo modello copernicano. C'è qualcosa di vero in questa apparente preoccupazione? La risposta è no. (pag. 221).
Per essere allo stesso livello dell'evoluzione cosmica, l'evoluzione biologica della specie umana dovrebbe essere basata su equazioni e queste dovrebbero riferirsi a verità scientifiche del primo livello [...] Nulla di tutto ciò accade con l'EBSU. (pag. 223).
Quanti milioni di anni [...] avremmo dovuto aspettare affinché, per evoluzione biologica, il nostro udito potesse essere in grado di ascoltare ciò che qualcuno dice a distanze enormi da noi, come facciamo grazie alla radio? [...]
Queste grandi conquiste hanno una radice comune: l'Evoluzione Culturale della Specie Umana e questa nasce esclusivamente in virtù della Ragione. (pag. 225).
Siamo l'unica forma di materia vivente dotata di Ragione. Per noi credenti la Ragione è dono di Dio e non ci sono problemi di contraddizione logica. Per la cultura atea la Ragione è invece il risultato dell'evoluzione biologica della specie umana.
L'EBSU ha quindi come problema di fondo spiegare l'ECSU. Ma ECSU vuol dire Ragione. La cultura atea dovrebbe scrivere l'equazione dell'EBSU in grado di ottenere come risultato finale la Ragione.
(pag. 227).
Gli studiosi dell'Evoluzionismo Biologico della Specie Umana - nonostante i due secoli di ricerche - non sono riusciti a realizzare esperimenti come quelli che tratteremo nel §11.4.4 né a toccare traguardi come lo sono le equazioni di Maxwell e l'equazione di Dirac [...]. Queste equazioni - lo abbiamo detto prima - ci fanno capire l'origine dei nostri cinque sensi. Eppure i fanatici dell'EBSU pretendono di aver capito un fenomeno che non riesce ancora a essere formulabile in termini di rigore logico-matematico in modo da essere inserito al livello pur minimo (terzo) di credibilità scientifica. Nonostante questa grave lacuna essi lo estendono alla specie umana e dicono di avere raggiunto le frontiere della Scienza galileiana. Queste conclusioni sono contro tutto ciò che la Scienza galileiana ci ha permesso di scoprire e di capire. (pag. 235).
La teoria dell'evoluzione biologica della specie umana pretende di andare molto al di là dei fatti accertati.
Questi ci dicono che:

[...]
Questa catena ha però tanti anelli mancanti e ha avuto bisogno di ricorrere a uno sviluppo miracoloso del cervello, verificatosi circa due milioni di anni fa.
[...]
Una catena con anelli mancanti, sviluppi miracolosi, inspiegabili estinzioni, improvvise scomparse non è Scienza galileiana. Essa può, al massimo, essere un tentativo interessante per stabilire una correlazione temporale diretta tra osservazioni di fatti ovviamente non riproducibii, obiettivamente frammentari e necessariamente bisognosi di ulteriori repliche. (pag. 220).

Credo di poter ridurre al minimo i commenti, perché in quello che scrive Z. non vedo niente di nuovo. Ho già discusso il criterio dei "tre livelli" nell'applicazione all'astrofisica e alla cosmologia, ma ora vedete a che cosa serviva realmente: a negare qualsiasi validità scientifica a quella che Z. chiama, con termine tutto suo, EBSU. È chiaro che alcuni degli argomenti che porta corrispondono a problemi reali, che del resto la ricerca non ignora affatto e discute da sempre: ma a Z. fa comodo, qui come in altri casi, presentare una caricatura dell'avversario di turno, al fine di poterlo combattere più efficacemente. Più efficacemente, s'intende, solo dinanzi al suo pubblico... Perciò dipinge biologi e paleontologi come stupidi "fanatici", che ignorerebbero le difficoltà del loro lavoro, in quanto adepti della "cultura atea dominante". (Qui mi sorge una domanda: non verrà in mente a un lettore di Z. che forse ci sono anche biologi credenti, che vengono offesi dalla sua demonizzazione?)
Un'impostazione così gretta di problemi seri mi produce prima di tutto un senso di fastidio. Ci leggo il tentativo di rendere impossibile ogni discussione: o sei con me, o sei contro di me. Mi spiego meglio: è chiaro che come fisico, e senza arrivare alle esagerazioni ridicole di chiedere ai biologi quali siano le loro equazioni, sento una certa insoddisfazione per una ricerca che a volte mi sembra avvitarsi in controversie verbali. Al tempo stesso mi rendo conto che gli oggetti di quella ricerca sono ben altra cosa degli spaghi e i sassi di cui tanto parla Z., ma anche degli atomi o delle particelle; e non c'è perciò da stupirsi se i metodi sono diversi, i concetti costruiti diversamente; se gli stessi criteri di validità non possono essere ridotti a un rigido schema "galileiano".
Io non intendo rinunciare a esercitare il mio spirito critico in ogni direzione; invece mi pare che chi la pensa come Z. abbia già deciso da che parte sta la Ragione e da quale sta il Torto (maiuscole per adeguarmi allo stile ...).
C'è poi un altro aspetto che non approvo. La caricatura che Z. fa non è innocente e fine a se stessa: è invece strumentale a una tesi. Il libro è pieno di dichiarazioni di fede religiosa, e questo sarebbe un fatto privato, che ciascuno vive a suo modo: c'è chi lo tiene come suo patrimonio personale, senza esibirlo, e chi invece sente bisogno di farne una bandiera. Z. appartiene evidentemente alla seconda categoria, ma fin qui non ci sarebbe niente da obiettare. Trovo invece molto da obiettare quando questa fede "estroversa" viene accompagnata e sostenuta da "argomenti" come quelli che si trovano in questo libro, e dei quali la critica all'EBSU è solo un esempio; quando cioè la verità scientifica viene presentata in modo distorto a un pubblico intellettualmente disarmato, per farne sostegno delle proprie idee.
Siamo così arrivati al cuore del problema. Ho scritto all'inizio che abbiamo davanti un libro a tesi, e siamo tornati allo stesso punto. Bisognerebbe quindi discutere se la tesi (G. vero solo unico fondatore della scienza in quanto credente) sia fondata. Ma per questo occorrerebbe un altro libro, non questo commento che sta già diventando fin troppo lungo. Tuttavia le critiche che ho fatto danno già una parziale risposta: se è vero, come io ritengo, che la storia delle ricerche di G. viene presentata in modo alterato; che le argomentazioni epistemologiche non reggono a un esame critico; che le citazioni sono adattate da Z. ai propri fini; che anche l'opera di altri grandi scienziati è deformata sempre in modo da servire le sue tesi... Se tutto questo è vero, la conclusione è obbligata, e non ho neppure bisogno di enunciarla.
Per questa volta fermiamoci qui; ma non ho finito quello che ho da dire su questo Galilei, e dovrò chiedervi la pazienza di seguirmi per un'altra puntata; dove capiremo perché Einstein non è uno scienziato galileiano, impareremo come si è formato il sistema solare, faremo conoscenza da vicino con la cultura atea ... e altre cose ancora.


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