E. F. Taylor, J. A. Wheeler:
1. Premessa
Questo articolo riprende un tema trattato in
una conferenza da me tenuta, nell'aprile 1968, alla Sezione A.I.F. di Milano,
e della quale mi fu gentilmente fornita la trascrizione registrata. Da questa
mi ripromettevo di trarre già allora una nota da pubblicare, ma il
lavoro rimase interrotto. Recentemente, in vista di una lezione al corso di
aggiornamento organizzato dalla Sezione di Pisa, mi è sembrato
opportuno riprendere l'idea. Quello che segue è dunque il risultato di
due fasi di attività su uno stesso problema, separate da otto anni.
Il problema è questo: la fisica
è una scienza sperimentale, e perciò in essa l'esperimento e i
procedimenti induttivi entrano in modo determinante. Esiste però nella
fisica una parte teorica, con struttura matematico-deduttiva, che non è
meno importante, e anzi costituisce il carattere distintivo della fisica dalle
altre scienze sperimentali (almeno come le conosciamo oggi). Fin qui tutto
bene, e tutto noto. Ma quando si cerca di trasmettere la struttura della
fisica nell'insegnamento, specie nella scuola secondaria, accade che ci si
imbatta in certe difficoltà, derivanti dalla complessità del
rapporto fra teoria ed esperimento, fra induzione e deduzione. Sono queste
difficoltà che cercherò qui di illustrare.
Darò in primo luogo alcuni esempi
di errori e insufficienze logiche piuttosto comuni. Seguirà una breve
esposizione di un procedimento logicamente ineccepibile (il cosiddetto metodo
assiomatico), con alcune argomentazioni che ne provano la scarsa
validità didattica. A questo punto, conclusa la discussione dei vari
aspetti del problema che abbiamo di fronte, darò qualche indicazione su
come si possa tentare di risolverlo.
Il mio primo timore, nel riprendere il tema
dopo otto anni, è stato che questo risultasse invecchiato e superato.
In effetti nel 1968 era in pieno svolgimento un dibattito provocato
dall'introduzione in Italia del PSSC e dall'istituzione delle classi pilota,
che avevano funzionato come elemento di rottura degli schemi tradizionali.
Oggi la situazione è certamente diversa; altri temi si presentano con
più immediato interesse, o almeno sono più di moda: i rapporti
con le altre scienze, la questione della storia, la fisica nel biennio, ecc..
Temo però che a questo "invecchiamento" del problema che qui si tratta
non sia corrisposto un suo reale superamento, cioè una soluzione chiara
e diffusa fra tutti; mi sembra invece che il cambiamento di interesse da un
lato riguardi solo una cerchia relativamente ristretta, dall'altro rifletta
stimoli ed esigenze che hanno origine al di fuori dell'ambiente degli
insegnanti di fisica. Niente di male in ciò, che anzi testimonia una
certa apertura, senz'altro da incoraggiare e coltivare. Tuttavia c'è il
rischio che si produca una scissione: da una parte un'"avanguardia", che per
essere numericamente scarsa e senza reale influenza tende a dare per risolti i
problemi quando ne ha discusso a lungo, anche se la discussione non ha inciso
sulla realtà concreta dell'insegnamento; dall'altra una "massa", che
assiste a questi certami oratori senza parteciparvi e senza poterne ricavare
indicazioni utilizzabili nel lavoro di tutti i giorni. In parole povere: mi
sentirei tranquillo se potessi ad esempio dare per certo che il ruolo
dell'esperimento nell'insegnamento della fisica è chiaro e definito per
la più gran parte degli insegnanti: allora affronterei volentieri un
altro tema. Ma se così non è, la discussione anche su un
argomento relativamente "scontato" va continuata.
Vorrei aggiungere che il mio punto di vista
odierno non coincide completamente con quello del 1968: oggi vedrei importante
anteporre al momento della sperimentazione in laboratorio un momento che per
brevità vorrei chiamare "naturalistico". Spero di trovare l'occasione
per spiegare distesamente che cosa intendo con questo: per ora non mi è
sembrato opportuno alterare la linea generale della discussione che segue,
dato che questa nuova concezione si aggiunge alla vecchia, ma non la
contraddice.
Buona parte del mio discorso concerne le
esposizioni correnti nei libri di testo. Naturalmente negli ultimi anni sono
usciti molti libri nuovi, e riedizioni di quelli vecchi: ad es. ora è
quasi impossibile trovare un testo che non usi la tecnica della fotografia
multiflash per illustrare vari aspetti della meccanica. Corrisponde a questo
un qualche reale cambiamento nel carattere dei testi, per quanto concerne
quello che dirò nel seguito? Non ho potuto condurre un'indagine
sistematica in proposito, ma l'esame di alcuni esempi significativi mi ha
convinto di no: perciò anche in questo senso credo che il discorso che
verrò svolgendo sia ancora attuale.