Ora che abbiamo per così dire
sistemato la scena, bisogna cominciare a girare... Voglio dire che bisogna far
evolvere il nostro Universo, e vedere come cambiano tutte le grandezze fisiche
e geometriche interessanti: in particolare il raggio R e la densità della materia. Ho già
detto che la densità va come l'inverso del cubo di R, quindi questo è tutto ciò che
occorre sapere.
Se si trattasse di far muovere non l'Universo,
ma un pianeta (poniamo) chiederemmo quali sono le "equazioni del
moto", che in meccanica prendono la forma di equazioni differenziali (chi
non sa cosa sia un'eq. differenziale non si spaventi: non ha importanza, non
ne faremo uso...). Analoga richiesta ci si fa per l'Universo: quali sono le
sue equazioni del moto?
La risposta la sapete tutti: sono le
equazioni di Einstein, da lui ricavate
per la prima volta alla fine del 1915.
Dato lo scopo di questo scritto, non
proverò a scrivere le equazioni, neppure nella forma abbastanza
semplice che assumono nel nostro modello. Mi limito a dire che legano il modo
di variare del raggio R nel tempo alla
densità e alla pressione della materia presente. Nel nostro caso la
pressione si trascura, e la densità va come 1/R3.
Ci sarà poi da tener conto delle tre
possibilità: k=0 (piatto), k=+1 (chiuso), k=-1 (aperto).
Risolvendo le equazioni di Einstein nei tre
casi si trovano tre diversi andamenti per il raggio:
- Universo piatto: R cresce sempre, ma
sempre più lentamente, con velocità che tende a zero.
- Universo chiuso: R cresce fino a un
massimo, poi torna a decrescere simmetricamente.
- Universo aperto (iperbolico): R cresce
sempre, con velocità che tende a un limite costante, pari a
c.
Ci sarebbero parecchie cose da chiarire e
precisare, ma non posso permettermelo. Dico solo che nel selezionare le
soluzioni possibili ho fatto già uso di un risultato delle osservazioni
(il primo dato della cosmologia osservativa, la scoperta di Hubble): al
momento presente l'Universo è in espansione.
È importante a questo punto
raccontare una storia che riguarda Einstein e risale a prima della scoperta di
Hubble. Per quanto a noi oggi sembri incredibile, all'epoca in cui Einstein
lavorava alla RG l'idea di un Universo in evoluzione non era ancora entrata
nel modo di pensare degli scienziati. Va anche detto che le conoscenze
sull'Universo erano molto molto inferiori a quelle odierne; basti pensare che
non era ancora accertato che le galassie come M31 (la cosiddetta
"galassia di Andromeda") fossero davvero esterne e distanti dalla
Galassia con la G maiuscola, quella entro cui ci troviamo...
Sopravviveva perciò un antico
pregiudizio metafisico, secondo cui l'Universo doveva essere
statico, sempre uguale a se stesso.
Ora le equazioni di Einstein, come lui le
aveva ricavate, non permettevano una tale soluzione: c'erano le tre
possibilità, ma in tutte e tre l'Universo cambiava raggio nel tempo, e
anche la materia si rarefaceva o si condensava. Einstein ritenne perciò
di aver sbagliato qualcosa, e corresse le sue equazioni originarie
aggiungendovi un termine (il famoso "termine cosmologico") che
appunto rendeva possibile una soluzione statica.
Solo dieci anni dopo, o poco più,
Hubble dimostrava con le sue osservazioni che l'Universo non è
statico: Einstein si affrettò a
rinnegare il termine cosmologico, che del resto non gli era mai piaciuto
perchè guastava la semplicità della teoria (se posso
permettermi, non piace neanche a me...). In seguito, Einstein lo avrebbe
definito "il più grande errore della mia vita".
In tempi recenti il termine cosmologico
è tornato in auge, ma di ciò riparleremo più avanti.
Ma che effetto ha il termine cosmologico
sull'evoluzione dell'Universo? Purtroppo quanto più si complicano le
equazioni, tanto più diventa difficile spiegarne i risultati a
parole...
Cominciamo col dire che il termine cosmologico
contiene un coefficiente, detto "costante cosmologica" (CC), del
quale non abbiamo alcun modo per prevedere il valore. È anche per
questo che ad Einstein il termine cosmologico non piaceva: nelle sue equazioni
non c'erano parametri arbitrari: ci figuravano solo la velocità della
luce c e la costante di gravitazione
universale G, entrambe grandezze ben
note. Ecco perché era stato così importante che la teoria avesse
saputo prevedere esattamente la precessione del perielio di Mercurio: non
c'era spazio per scelte arbitrarie, o tornava o non tornava...
Se la CC è positiva, il termine
cosmologico grosso modo equivale a una forza repulsiva, che quindi tende a far
espandere l'Universo più rapidamente, o a farlo espandere in condizioni
in cui si contrarrebbe se la CC fosse nulla. Viceversa se è
negativa.
Si può capire che cosa succede.
Prendiamo ad es. il caso dell'Universo chiuso: se aggiungiamo una CC positiva,
può accadere che esso non sia più destinato a contrarsi di
nuovo. Non solo: se la CC è abbastanza grande, può darsi che
l'espansione risulti addirittura accelerata.
Altrettanta varietà si avrebbe con una
CC negativa; non è il caso d'insistere...
Una teoria scientifica non vale niente se
non consente un confronto con le osservazioni, dal quale possa essere
confermata o messa in dubbio. La teoria di Einstein non fa eccezione: il
confronto è possibile, ma non è affatto facile. E non è
facile neppure spiegare come si possa farlo...
Ci sono alcune cose che è possibile
misurare, con maggiore o minore incertezza, ma in modo abbastanza diretto;
altre informazioni invece si possono ottenere solo in modo assai indiretto.
Anche per questo motivo quella della divulgazione è un'impresa
disperata; ma viene non di rado resa impossibile dall'impreparazione di chi ci
s'impegna, e dal desiderio di stupire, più che di far capire il
procedere della ricerca scientifica.
Ma lasciamo stare le critiche, fin troppo
facili, e cerchiamo di "pensare positivo", ossia di dare un
contributo utile...
Il primo parametro cosmologico in assoluto
che sia stato sottoposto a misura è la costante di Hubble, che dice quanto velocemente l'Universo si espande.
Ci si arriva dal redshift cosmologico,
ossia dal sistematico aumento delle lunghezze d'onda di tutta la radiazione
e.m. che arriva dalle sorgenti lontane, in misura tanto maggiore quanto
più sono lontane.
Questo redshift viene quasi sempre spiegato
come un "effetto Doppler": un abbassamento della frequenza dovuto
al moto di allontanamento della sorgente. Per motivi che purtroppo non posso
attardarmi a spiegare, tale interpretazione apre una quantità di
problemi, tanto che mi azzardo (rischiando di provocare proteste anche di
"addetti ai lavori") a dichiararla sbagliata e basta.
È molto meglio appoggiarsi a una
formuletta semplicissima: il rapporto fra la lunghezza d'onda all'arrivo e
quella all'emissione è uguale al rapporto tra i valori di R ai due istanti.
Dato che l'Universo si espande, nel tempo
che passa dall'emissione alla ricezione R cresce, e perciò la lunghezza d'onda ricevuta è
maggiore.
Dato che il tempo trascorso è tanto
più lungo quanto più lontana sta la sorgente, si capice che il
redshift cresca con la distanza.
In prima approssimazione (per piccole
distanze, dove "piccole" va sempre inteso su scala cosmologica...)
il redshift è proporzionale alla distanza: è la legge di
Hubble. La costante di
proporzionalità è la costante di Hubble H.
La misura di H è sempre stata difficile, soprattutto perché
occorre conoscere la distanza della sorgente. Sono stati escogitati numerosi
metodi per stimare tale distanza, e la conoscenza della costante si è
progressivamente raffinata, ma ancor oggi essa è nota con un'incertezza
di ± 20%.
Un secondo parametro di cui si può
dare una misura abbastanza diretta è la densità. Il modo
più semplice si basa su un conteggio delle galassie e una misura della
loro luminosità: infatti la luminosità di una galassia, se la si
pensa formata prevalentemente da stelle, darà una stima della sua
massa, perché per le stelle la relazione fra massa e luminosità
è ben nota.
A questa prima idea si è dovuta
apportare una correzione quando si è accertato che tutte le galassie
contengono materia oscura, ossia non
raccolta in stelle che emettono luce. Inoltre esiste altra materia oscura
nello spazio fra una galassia e l'altra negli ammassi. Oggi si ritiene che
questa materia oscura, la cui costituzione non è ancora nota,
contribuisca alla densità circa 10 volte di più della materia
luminosa.
Se si lascia da parte il termine
cosmologico, dalle equazioni di Einstein segue che la decisione fra i tre tipi
di Universo (chiuso, piatto, iperbolico) dipende dalla relazione che esiste
fra la densità di materia (di energia) e la costante di Hubble. Se la
densità è inferiore a un certo valore critico (dipendente da
H) l'Universo è iperbolico, se
è maggiore, è chiuso. Il caso di Universo piatto sta in mezzo, e
si realizza solo alla densità critica.
Con qualunque stima della densità,
anche tenendo conto della materia oscura, siamo ben sotto la densità
critica, e quindi l'Universo dovrebbe essere iperbolico. Ma qui intervengono
le misure più recenti, che sembrano raccontarci una storia diversa.
Sarà l'argomento della prossima puntata.
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