Breve storia dell'elettrodinamica quantistica

Elio Fabri

Ultima revisione: 15-9-07


Terza puntata

Abbiamo lasciato gli elettroni nella prima puntata come particelle puntiformi cariche, che davano alcuni problemi. Tutti i fisici pensavano che con la meccanica quantistica anche quei problemi sarebbero stati risolti; invece ci sarebbe voluto ancora un bel po' di tempo (ammesso che oggi si possa dire che tutto è risolto...).

Ma a proposito di elettroni c'è una proprietà di cui non avevo parlato affatto, perché venne scoperta molto più tardi: negli anni '20 del XX secolo. Mi riferisco allo "spin".
Tanto per cambiare, non è possibile raccontare l'intera storia: mi limito a dire che certe caratteristiche degli spettri atomici indicarono che gli elettroni dovevano essere dotati di "momento angolare intrinseco", il che in termini della fisica classica vorrebbe dire che ruotano su se stessi, come trottole. In inglese un tale movimento si dice "to spin" e da qui viene il termine che si affermò in tutto il mondo.
Ho scritto "in termini della fisica classica" perché la meccanica quantistica non ci permette di vedere le cose a quel modo, ma non posso spiegare per bene il motivo. Una cosa si può dire: questo momento angolare intrinseco non può mai essere cambiato. Il suo modulo vale h/4π (veramente ... non proprio ... ma non posso essere più chiaro...) e solo la direzione può variare.

Un'altra conseguenza del comportamento quantistico è che se si misura la componente dello spin in una direzione scelta come si vuole, si trovano solo due valori possibili: ±h/4π : questa componente è "quantizzata".

L'esistenza dello spin, e il famoso principio di Pauli (che cito ma non userò in seguito, almeno spero...) sono fondamentali per spiegare la struttura atomica e il legame chimico; contribuirono insomma al grandioso successo della meccanica quantistica nel decennio 1925-35 o giù di lì.
La prima trattazione quantistica dello spin è dovuta a Pauli, per mezzo delle tre matrici che da allora si chiamano appunto "matrici di Pauli".

Ma se ho voluto parlare dello spin è per un altro motivo: l'elettrone ha anche un "momento magnetico", come se fosse una piccola calamita, o una minuscola spira percorsa da corrente. Produce quindi un campo magnetico, e subisce azioni da campi magnetici esterni.
In fondo la cosa non è affatto strana: se pensiamo a una pallina macroscopica che porti una carica elettrica, e la mettiamo in rotazione, questa si comporterà come un insieme di spire percorse da corrente, e quindi avrà un momento magnetico. Sembra che ciò rafforzi l'immagine dell'elettrone come pallina che ruota.
Ma c'è un ma: se facciamo l'ipotesi più ragionevole, ossia che la carica dell'elettrone (pallina) sia distribuita come la massa, possiamo dimostrare che ci dovrà essere un preciso rapporto fra momento magnetico e momento angolare: esattamente e/2mc (in unità di Gauss). Il momento magnetico dell'elettrone si può misurare in vari modi, e il risultato era univoco: il rapporto era esattamente doppio di quello previsto.
Un mistero in più, da aggiungere agli altri. E non va dimenticato che in realtà nessuno aveva idea di come fosse "fatto" un elettrone...

Mentre accadevano queste cose, c'era chi non si riteneva soddisfatto della meccanica quantistica di Heisenberg-Schrödinger, per una ragione precisa: era una meccanica quantistica non relativistica.
Anche questo non era un problema nuovo: si era già posto ai tempi di Bohr. Nel modello di Bohr dell'atomo d'idrogeno, come sappiamo, l'elettrone descrive orbite circolari attorno al protone (che ha massa molto maggiore, quindi sta praticamente fermo). Si può facilmente calcolare la velocità, che dipende dal raggio dell'orbita (è un esercizio da liceo...). Prendendo l'orbita più piccola possibile, si verifica che la velocità è minore di c/100; un'approssimazione migliore è c/137.
La costante 1/137 è in realtà 2π e²/hc; si chiama "costante di struttura fina" per ragioni che vedremo fra breve. Questa costante, e il suo valore piuttosto piccolo, ha un ruolo centrale nella QED.

N.B.: la formula così scritta vale in unità elettrostatiche; chi sia più abituato al SI dovrebbe sostituire sempre, qui e nel seguito, e²/(4πε 0) al posto di e².

Dunque la velocità degli elettroni negli atomi è piccola rispetto a c (il caso che abbiamo considerato è il peggiore possibile, almeno per gli elettroni "ottici", ossia quelli coinvolti nell'emissione e assorbimento di radiazione visibile) e si potrebbe pensare che gli effetti relativistici siano trascurabili. Però la spettroscopia già a quei tempi aveva raggiunto sensibilità incredibili, e si pensava che le correzioni relativistiche avrebbero dovuto essere misurabili.
Ma in che consistono questi effetti relativistici?

Debbo farla corta, e dico solo il risultato, non come ci si arriva. Sappiamo che Bohr era riuscito a giustificare la quantizzazione dei livelli energetici dell'atomo d'idrogeno e anche a dare una formula: |En  1/n² che era in ottimo accordo con le osservazioni. Il calcolo di Bohr non era relativistico; fu esteso da Sommerfeld in due sensi:

a) considerare orbite ellittiche e non solo circolari
b) tener conto della relatività.
A conti fatti, le orbite di uguale semiasse e diversa eccentricità, che in assenza di relatività davano un unico livello, ora ne davano diversi (a seconda del valore del momento angolare "orbitale" dell'elettrone, misurato, in unità h/2π , dal numero quantico l). Come siamo soliti dire, si è "rotta" la degenerazione su l.
L'effetto osservabile di questo è che al posto di una sola riga spettrale debbono apparirne due o più, vicine tra loro perché la correzione è piccola: ecco la prevista "struttura fina" dei livelli dell'atomo d'idrogeno, che tornava benissimo con le misure sperimentali.

Debbo precisare che c'è un'altra "struttura fina", presente in tutti gli atomi, anche più pesanti dell'idrogeno. Non può essere dovuta a effetti relativistici, perché le velocità sono sempre più piccole, mentre la struttura cresce di entità.
Infatti fu proprio questa struttura fina che portò all'idea dello spin e al momento magnetico associato (e non dico perché, tanto per cambiare...).

Per tutte queste ragioni, era necessario costruire la "meccanica quantistica relativistica dell'elettrone dotato di spin". Quest'impresa sarebbe riuscita a Dirac nel 1928, e non mi è minimamente possibile spiegare come. Ma tre cose debbo dire:

a) Dirac riuscì a mostrare che dalla sua equazione (ovviamente nota come "equazione di Dirac") che sostituiva quella di Schrödinger, seguiva necessariamente che allo spin dell'elettrone doveva essere associato un momento magnetico, e proprio della misura nota sperimentalmente.
b) Verificò che ne seguiva la struttura fina dell'idrogeno, in una forma che inglobava quella calcolata da Sommerfeld e l'effetto del momento magnetico di spin, e in perfetto accordo con le misure.
c) Last but not least : si accorse che la sua equazione ammetteva soluzioni non interpretabili come gli elettroni già conosciuti, ma come "antiparticelle" di carica opposta.

Queste antiparticelle vennero in un primo tempo confuse coi protoni, già noti; ma si capì presto che non potevano essere, perché non c'era ragione che avessero massa diversa dagli elettroni.
Poco dopo (1932) Anderson dimostrava che certe tracce osservate in una camera di Wilson esposta ai raggi cosmici dovevano indubitabilmente essere interpretate come tracce di "elettroni positivi" (poi denominati "positroni").
Era, credo, la terza volta in meno di un secolo che la fisica teorica portava a scoprire qualcosa di esistente ma fino allora sconosciuto: il pianeta Nettuno nel 1846, le onde e.m. nel 1888, e ora una nuova particella.

Ma come mai i positroni non erano stati visti prima? Che proprietà hanno?
Ne riparleremo nella prossima puntata...

(Fine della terza puntata)


Continua...