È questo un punto
fondamentale e alquanto delicato, che perciò dovrò discutere con
una certa ampiezza (2). Come si stabilisce il
collegamento della nostra teoria con la realtà, con i fatti osservati?
Sarebbe ingenuo credere che questo collegamento sia automatico: che a ogni
termine e a ogni operazione teorica corrisponda un ben preciso dato di
osservazione, una ben precisa operazione fisica. Questa corrispondenza
naturalmente esiste, ma solo in forma incompleta e approssimata. Le regole di
interpretazione hanno appunto lo scopo di precisare i limiti e la portata
della corrispondenza; è attraverso queste regole che la teoria diventa
un modello della realtà. Ma si badi bene: un modello,
non una copia o un'approssimazione o
un'idealizzazione (tra poco ritornerò meglio su questo).
Esempi di regole di interpretazione possono
essere:
) la procedura sperimentale che associa
a un oggetto fisico la sua massa (cioè la "definizione
operativa" di massa);
) la specificazione delle condizioni in
cui un corpo può essere schematizzato come un punto materiale;
) la precisazione delle caratteristiche
dell'oggetto empirico che nella teoria prende il nome di elettrone...
Si vede già da questi esempi come le
regole di interpretazione possono essere di natura assai diversa tra loro.
L'esempio b
) mostra bene in che senso ho
parlato sopra di corrispondenza "approssimata"; ma lo stesso vale
anche per l'esempio c
): quelle che oggi
si considerano proprietà sufficienti a caratterizzare un elettrone,
potrebbero risultare inesatte o incomplete domani.
L'incompletezza delle regole di
interpretazione si coglie meglio in un altro esempio, che sebbene assai
elementare, è di solito trascurato. La meccanica classica richiede di
considerare le coordinate di un punto materiale come funzioni reali della
variabile tempo, derivabili almeno due volte. Una regola di interpretazione
può precisare come si determinano sperimentalmente tali funzioni?
Evidentemente no, perché un numero finito di misure di precisione
finita non permetteranno mai di determinare una funzione
f
(t
), anzi neppure un solo numero reale. D'altra parte si capisce bene
che la teoria non può rinunciare alla f
(t
) derivabile due volte, senza
un radicale sconvolgimento; e in pratica nessuna teoria abbastanza articolata
dal punto di vista matematico può fare a meno di costrutti analoghi o
ancora più astratti (ho a mente qui lo spazio di Hilbert che fa tanto
soffrire chi affronta la meccanica quantistica: e credo che la radice della
difficoltà stia proprio nel non aver fatto presente in tempo che quella
del costrutto teorico senza diretta interpretazione osservabile non è
una peculiarità della meccanica quantistica).
Credo opportuno citare a questo proposito un
brano che illustra il nostro punto con grande chiarezza:
"Una teoria scientifica è pertanto paragonabile a una complessa
rete sospesa nello spazio. I suoi termini sono rappresentati dai nodi, mentre
i fili collegati a questi corrispondono, in parte, alle definizioni e, in
parte, alle ipotesi fondamentali e derivative della teoria. L'intero sistema
fluttua, per così dire, sul piano dell'osservazione, cui è
ancorato mediante le regole interpretative. Queste possono venir concepite
come fili non appartenenti alla rete, ma tali che ne connettono alcuni punti
con determinate zone del piano di osservazione. Grazie a siffatte connessioni
interpretative, la rete risulta utilizzabile come teoria scientifica: da certi
dati empirici è possibile risalire, mediante un filo interpretativo, a
qualche punto della rete teorica, e di qui procedere, attraverso definizioni e
ipotesi, ad altri punti, dal quali, per mezzo di un altro filo interpretativo,
si può infine ridiscendere al piano dell'osservazione. Così una teoria
interpretata consente di inferire il verificarsi d'un fenomeno descrivibile in
termini osservativi, ed eventualmente appartenente al passato o al futuro,
sulla base di altri fenomeni osservabili già accertati. Ma l'apparato
teorico che, con l'assicurare un ponte fra i dati di fatto acquisiti e i
risultati empirici potenziali, permette di giungere a tali asserzioni su
eventi futuri o passati, non è, in genere, formulabile in termini di
soli osservabili. L'intera storia della scienza mostra che nel nostro mondo
principi ampi, semplici e attendibili per spiegare e prevedere fenomeni
osservabili non possono venir stabiliti unicamente ammassando e generalizzando
induttivamente i risultati empirici. Occorre una procedura
ipotetico-deduttivo-osservativa, la quale, naturalmente, è quella
applicata nelle branche più avanzate della scienza empirica. Guidato
dalla propria conoscenza dei dati empirici, lo scienziato deve inventare un
insieme di concetti, i costrutti teorici, privi di significato empirico
diretto , un sistema di ipotesi formulate in
termini di questi, e un'interpretazione per la risultante rete teorica; e
tutto ciò in una maniera che consenta di stabilire fra i dati
dell'osservazione diretta connessioni feconde ai fini della spiegazione e
della previsione" (3). |
Posso ora tornare alla teoria come modello
della realtà. Qui "modello" è usato nel senso in cui si parla di
modello di una nave o di un vestito: schema semplificato, che non pretende di
riprodurre tutte le caratteristiche e i dettagli dell'oggetto reale, ma solo
quelle che interessano più da vicino. Questo è il prezzo che la
teoria deve pagare, per avere in cambio un grande vantaggio: lo schema
è interamente sotto il nostro controllo, può essere modificato
se occorre; e soprattutto, grazie all'uso del linguaggio e delle tecniche
matematiche, è privo di ambiguità e certo nelle conclusioni.
Ecco perché non si tratta di una copia, ma nemmeno di
un'approssimazione (che dà l'idea di qualcosa di imperfetto) o di
un'idealizzazione (che viceversa fa pensare che in qualche modo la teoria sia
"migliore" della realtà).
Per concludere questo paragrafo vorrei fare
un'annotazione psicologica. È facile che tutto quanto precede, e in
particolare l'esplicita dichiarazione dell'incompletezza e imprecisione insite
nella struttura del discorso fisico, lascino un senso di insoddisfazione,
quasi di rimpianto: quanto è più bella la matematica, dove tutto
è preciso e ben definito! In parte è solo questione di gusti; ma
c'è da osservare due cose. In primo luogo, anche in matematica un
sistema assiomatico poggia su elementi non definiti; e questo può
essere un motivo di disagio non minore del precedente. Andare a fondo sul
problema dell'interpretazione degli enti matematici sarebbe qui fuori luogo:
vorrei solo osservare che è proprio a questo disagio che si deve
ricondurre il forte fascino delle soluzioni di tipo platonizzante (gli enti
matematici esistono in un mondo iperuranio, inaccessibile, o accessibile al
solo pensiero). In secondo luogo, l'incompletezza è appunto ciò
che fa della fisica un discorso aperto, capace di evoluzione e di sviluppo a
contatto con la realtà. Ma su questo dovremo tornare nel prossimo
paragrafo, quando affronteremo gli aspetti didattici del nostro tema.